mercoledì 14 novembre 2007

Uno scafo nella tempesta



14 novembre 2007

Oggi è un giorno speciale, uno di quei giorni particolari in cui si gioca il futuro di una nazione o forse è meglio dire in cui si assisterà ad una possibile spallata, un vero e proprio arrembaggio da parte di una nave pirata, un assalto ad una barca in affanno che naviga in difficoltà con il suo carico di speranza. Una speranza che non è altro che un miserabile tesoro di gioielli artefatti, copie simili all’originale di altri ben più preziosi gioielli conservati nei forzieri di capitali di paesi più democratici del nostro.


Ma non ha molta importanza il loro reale valore, ciò che interessa a noi cittadini di una lontana isola caraibica del XXX° secolo, è che il soffio che gonfia le vele lacerate di un buffo e rappezzato scafo di legno che rappresenta l’inizio di un cambiamento, di un percorso che potrebbe alla fine condurre lungo le coste lontane di una decente e moderna democrazia. Ma la prua è sommersa e spazzata dai flutti, bagnata dalle gigantesche ed impetuose onde che ne frenano la velocità e che sfasciano ancor più la chiglia, costringendo i marinai ad intervenire e a tappare le falle che si susseguono ininterrottamente a discapito di una stabilità apparente.



I ritocchi delle campane in bronzo suonano incessantemente a morto, il vento ulula mentre il cielo si oscura e le onde spazzano con violenza la tolda, rendendo insicura la permanenza sul ponte di comando dell’unico uomo, che ancora aggrappato al timone, cerca di condurre lo scafo verso quella che ritiene la terra della cuccagna. Un luogo e un paese in cui lui è l’unico a crederci un paese fin’ora inesplorato e visto soltanto nell’immaginazione del responsabile di tutta la ciurma, del comandante che si è fatto legare dai suoi uomini al timone per non cedere e scivolare nelle fredde gelide e torbide acque dell’irreparabile, negli abissi bui di un oceano ostile.


Doppio e triplo pericolo, la tempesta di un malessere sociale che attraversa il paese, le navi ostili dei corsari e dei pirati che attentano alla sicurezza del veliero che punta verso il porto più vicino in cui finalmente gettare l’ancora per riparare lo scafo e il timone in avaria. Ma proprio come Colombo è Prodi l’unico ad aver ben compreso l’importanza della spedizione, èil solo a conoscere le carte nautiche, a saper maneggiare la bussola, a scrutare di giorno l’orizzonte e di notte le stelle, perché è sicuro che la terra sia molto vicina. Uno, due giorni ancora, poi compariranno lontano lembi di terra biancastra, e le palme, mentre fra le onde già si notano i segni di una civiltà sconosciuta, noci di cocco, pezzi di legno con i segni dell’effetto del fuoco, pesci colorati e conchiglie legate a mò di collana con filo intrecciato fatto con foglie di palma.


Ma vicino, molto vicino lo tallona la nave di Morgan lo psiconano , che con le immense ricchezze ed i tesori accumulati e di provenienza alle volte sconosciuta, sepolti nelle lontane terre della Colombia Europea, ha probabilmente coprato qualche componente della ciurma, il cuoco, il mozzo il vice, qualcuno che all’ultimo momento possa tagliare le cime dell’albero maestro, per fermare definitivamente la corsa verso la libertà. Intanto gli schiavi liberati, stretti nella stiva, affamati e assetati e in attesa di essere finalmente liberati dai soprusi e dalle angherie, dalla fame e dall’ingiustizia, dai ceppi e dalle piaghe, pregano sperando che la coscienza abbia più valore del potere e del danaro e che ognuno dei componenti dell’equipaggio compia il proprio dovere consci del reale compito a cui sono stati chiamati: il varo della finanziaria.

Italo Surìs

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