mercoledì 15 agosto 2007

Vecchio ardore XI^


15 Agosto 2007


L'amore non ha età 11°


Certo aveva paura Anita, terrore di tutto e di tutti, bastava un semplice rumore, un imprevisto, per farla sussultare. Aveva probabilmente e costantemente i nervi a fior di pelle, tutto per lei poteva equivalere o costituire un pericolo. Anche un rumore di passi, soprattutto se felpati, poteva rappresentare per lei una minaccia. Avrebbe potuto nella sua immaginazione, essere suo padre che si avvicinava in silenzio, per vedere dove fosse, per controllane i movimenti, per tenerla costantemente sotto quella che lui definiva “amorevole protezione”, e che io consideravo a tutti gli effetti, una forma di perversa schiavitù. Questo terrore aveva la capacità di bloccarla, di paralizzare la sua mente ed il suo corpo, di far sì che i suoi muscoli si irrigidissero, bloccandole persino i sensi, impedendole di godere delle mie effusioni. Il suo corpo ormai quasi di pietra, non riusciva neppure a percepire il contatto delle mie mani, e neppure alcune volte, quello delle mie labbra sulle sue. Sembrava che ciò la innervosisse che le desse fastidio, tanti erano i tabù in essa presenti, che avevano, come una rete metallica, bloccato la sua spensieratezza, il gusto di vivere, il piacere di sentire il proprio corpo, sentirlo eventualmente irrigidirsi sì, ma esclusivamente per un sottile piacere erotico. Ho avuto persino l’impressione che il suo genitore si fosse infilato nel suo letto, quando Anita era ancora in tenera età, e avesse abusato di lei ,che il suo amore fosse stato un amore ambiguo. E le sue sudice mani avessero accarezzato quel corpo d’infante, con viscida ed ipocrita tenerezza. Si sa i bambini anche se piccoli notano un atteggiamento inusuale, riconoscono le particolarità e le devianze dei grandi e per loro ciò costituisce un trauma indelebile, un ricordo nefasto che rimarrà per tutta la vita. Se così fosse stato, tutto allora era più chiaro, come apparente era il suo sudore, quelle gocce che imperniavano la sua fronte, allorché si avvicinava ad un uomo, a qualcuno che anche lontanamente potesse nel carattere o nelle sembianze assomigliare a chi l’ha concepita. Ma non è detto che possa essere stato questo il vero o unico motivo, non un’attenzione morbosa, ma un comportamento violento, la mancanza d’affetto, imposizioni cruente invece che inviti e spiegazioni, grida e sculacciate invece che carezze e forti prese di posizione. Non mi è mai stata raccontata da lei la verità, se non a tratti, se non nei momenti in cui l’ombra sul suo viso si faceva più scura, e le lacrime scivolavano dai suoi stupendi occhi. E’ come se inconsciamente avesse rimosso una fase della propria esistenza, un periodo della sua vita. Ecco in quei momenti il mio cuore mi doleva, sembrava stringersi e accartocciarsi talmente, da farmi soffocare. Come se il suo dolore fosse anche il mio, come se la tristezza che appariva sul suo volto, fosse una mia tristezza, una malinconia che mi apparteneva, come se il suo pianto sgorgasse dagli angoli delle mie pupille. In quei momenti, nel silenzio interrotto solo dai suoi singhiozzi, non trovavo altra forza che stringerla a me, accarezzarla sul volto asciugandole le lacrime con il dorso della mia mano. Com’è strana la vita!.


Alla prossima puntata






Italo Surìs












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