venerdì 24 agosto 2007

La perla d'oriente V^


L’harem 5°

24 Agosto 2007

L’orda di guerrieri, che apparve all’improvviso,non fu avvistata se non quando era ormai tardi. Erano scesi al galoppo da quella duna di sabbia, che non distante dall’oasi, sembrava adatta a proteggere l’accampamento di Musa ibn Nusair, il capo della tribù dei berberi e zio di Abdullah- Al Hazar, alla vista di malintenzionati. Le furie che si avvicinavano alla velocità di un fulmine verso di loro con i loro scatenati destrieri, avevano il volto coperto fino agli occhi. Erano protetti da una fascia che avvolgeva, oltre al viso anche il capo. Al fine di proteggersi dalla finissima sabbia, durante le bufere che si formavano all’improvviso. Bisogna sapere che il ghibli , vento secco proveniente da sud, durava anche parecchie ore , modificando il paesaggio e cancellando ogni traccia dei sentieri che i mercanti avevano formato. Uno stretto passaggio , appena riconoscibile dal resto dello spazio circostante, creato nel tempo dalle orme delle carovane dei cammelli, che attraversando immense distese di sabbia, raggiungevano le coste lontane dell’ Africa. O viceversa si dirigevano, con le gobbe appesantite dalle mercanzie, verso i mercati più popolati e ricchi delle città più importanti. In caso di improvvisa bufera di sabbia, gli animali che procedevano in fila compatta, venivano prontamente fatti accovacciare e il conducente che lo guidava, usava il corpo della bestia come riparo. Ecco perché gli arabi impararono a navigare nel loro immenso mare di sabbia, servendosi delle stelle e delle costellazioni, per riconoscere la direzione da seguire. Riprendere la giusta direzione, in un ambiente che continuamente poteva essere modificato dagli eventi atmosferici, per loro costituiva l’unica possibilità di salvezza. L’altro elemento essenziale era ovviamente l’acqua, che non poteva mancare e che consumavano con parsimonia ed oculatezza, suggendola dagli otri da cui non si separavano mai. Non era difficoltoso per loro viaggiare a cavalcioni di quei buffi ruminanti che, grazie alle loro caratteristiche, potevano stare giorni e giorni senza toccar cibo. In genere per percorrere lunghi tragitti, i nomadi usavano farsi cullare comodamente distesi dentro la qatab. Era questa una comoda amaca, agganciata a due pali posti ognuno su un fianco dell’animale ed incastrati nell’apposita sella. Di notte, nel deserto, la temperatura si abbassava di colpo e lo sbalzo di temperatura era enorme. Nel cielo limpido e privo di ogni minimo segno di perturbazione, brillavano le costellazioni che tutti noi conosciamo e abbiamo imparato ad amare durante la nostra fanciullezza. Sarebbe stata una vita accettabile per costoro, una vita dura sì, ma con risvolti anche positivi. Gli anziani erano saggi, e venivano venerati e ascoltati dal resto della tribù. Il capo assoluto era colui che si era manifestato come il più forte, il più astuto. Colui che aveva dimostrato nel tempo, acquisendone la fiducia e la stima, di saper condurre la propria gente incolume attraverso ogni possibile inconveniente. Un uomo quindi, che poteva garantire sicurezza alla sua gente e che aveva la capacità di usare i segreti ed i trucchi acquisiti, per condurre e portar a termine favorevolmente, trattative anche difficili con i rappresentanti delle altre tribù. Ma il suo compito era soprattutto quello di riuscire a sfuggire alle razzie perpetrate dagli uomini che scendevano dal nord. Nuove tribù sconosciute formate da guerrieri temibili, feroci cavalieri e cammellieri arabi.


Alla prossima puntata


Italo Surìs

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