sabato 1 settembre 2007

Due righe alle nuvole XVII^





Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 17°

01 settembre 2007

Sogni ovviamente d’amore, come quello che stai vivendo proprio in quel momento. Sì un irripetibile e magnifico sogno che dura tutta una notte. Il momento maggiormente eccitante e conturbante, quando lei stessa lascia scoperto involontariamente la via della gioia. Meraviglioso oggetto d’amore, un giocattolo di carne, porta della perdizione assoluta, un piccolo monte di tenera calda e vogliosa carne, appena appena ingentilita alle parti, da piccoli e soffici riccioli biondi. Ulteriori labbra dischiuse in un permanente sorriso invitante. Tenere labbra scandalosamente socchiuse e a malapena coperte dal lembo della sottoveste, che più che celare, ne esalta la visione. Guardando la maestosità di una natura così generosa, il tempo sembra non finire mai, la notte è come se non ci fosse, il sonno fugge sapendo di essere uno scomodo intruso in questa realtà. Fra due esseri uniti da tenerezze, fatte di progetti, di sicurezze o speranze. Quante notti giacerai ancora qui con me con le tue bellissime gambe distese scompostamente sul talamo e impudicamente divaricate?. Quante volte la mia mano scivolerà ancora su quel prezioso fiore di carne?. Quante volte, giocherellerò con il dito della mia mano con i riccioli biondi?. Ricciuti capelli di un rigonfio pube pulsante di giovinezza e di desiderio, reso evidente dall’umido aspetto della sua stessa natura? Fiore in bocciolo, il quale assume al fievole chiarore delle stelle, il profilo di un promontorio dall’andamento regolare, emergente da un mare in movimento. Una distesa marina costituita dalla incantevole visione delle onde rappresentate dall’insieme di tutte le sue rotondità. Quelle dei fianchi, quelle dei seni e delle cosce, quelle piene e generose degli abbondanti glutei. Natiche rotondeggianti e morbide al tatto, ma anche consistenti e muscolose, quel tanto da poter rispondere come i flutti marini, rimbalzando, ai colpi inferti dalla chiglia di un veliero che solca le onde, fendendole forzatamente con l'andamento costante della sua tagliente prua. Un elegante scafo da diporto, costituito dalle fibre muscolose del corpo di un giovane uomo il cui possente albero maestro, fieramente eretto verso il cielo, sostiene orgogliosamente le vele rigonfie di pioggia, alla sua base. Vele pronte rapidamente a sgonfiarsi dopo l'improvvisa e desiderata tempesta di ormoni. Un acquazzone di liquido salmastro che le nubi squarciate dai fulmini della passione, riversa con violenza sulle onde in movimento, soggette ormai ai flussi incontrollati e spasmodici della tempesta marina. Non serve andare ad Ostia sul lungomare per navigare fra le onde agitate. Basta rimanere a Roma a rimirare al chiaro di luna, esplorando, il corpo di una vergine donna mentre alla pari di un vecchio e provato esperto nocchiero, ti assale il desiderio di prendere più volte il largo, nell'infinito spazio vitale. Senza non prima, aver calato prontamente, la scialuppa di salvataggio nel mare in tempesta e aver puntato la prua verso il tramonto, fra le acque illuminate dai raggi di luna. Il tutto facendoti trasportare arrendevolmente , fra le braccia di un oceano in tempesta per perderti poi, nelle profondità degli abissi piu tenebrosi. Fondali marini oscuri e per questo, tanto ignoti, quanto affascinanti. Marinaio conducimi alla meta, fammi attraccare dopo la tempesta nel porto sicuro del suo ventre proteso. Ascolta anche tu i gemiti del vento, in attesa che i suo glutei e i suoi seni, onde sempre e costantemente in movimento, trovino alla fine la pace, adagiandosi finalmente in una gratificante pace interiore sul letto disfatto. Pace che poi non è altro che la serenità della luce, di una schiarita dopo l'atteso ma insperato uragano.


Alla prossima puntata

Italo Surìs

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