martedì 18 settembre 2007

La perla d'oriente VI^


18 settembre 2007

L’harem 6°

Questo è il motivo per cui, le tradizioni che si tramandavano di padre in figlio, erano assorbite dai giovanissimi nomadi, fin dalla primissima infanzia, con avidità. La loro mente immagazzinava ogni piccolo segreto, ogni informazione utile. Imparavano velocemente i trucchi che venivano loro insegnati, sapendo che prima o poi, avrebbero dovuto per forza di cose metterli in pratica. Un errore per loro avrebbe potuto significare la fine, un’astuzia invece, una possibilità di sopravvivenza e di crescita ulteriore. Sì, lo ripeto, un solo piccolo dettaglio avrebbe potuto significare la differenza fra la vita e la morte, fra la libertà, anche dura, e la schiavitù o peggio in alcuni casi per i giovanissimi, anche la castrazione, subita per essere poi venduti ai ricchi sceicchi come eunuchi. Anche Abdullah- Al Hazar, era un giovanissimo ragazzino di appena sette anni. Un ragazzino spensierato e felice, serenamente soddisfatto di giocare con i coetanei fra le dune di sabbia, ma anche felice dei momenti in cui tutti i ragazzi si riunivano ad ascoltare le favole delle mille ed una notte, che l’anziano del gruppo, era solito raccontare prima di riunirsi per la cena al calar del sole. E proprio all’imbrunire che i cavalieri impazziti e assetati di sangue, irruppero nel loro accampamento mentre appunto i fanciulli erano intenti ad ascoltare le favole che l’anziano stava loro raccontando. Quel giorno, solo un falò, un piccolo fuoco alimentato da pochi sterpi rischiarava l’oscurità e i lineamenti dei fanciulli raccolti in assoluto silenzio con la bocca spalancata, attorno alla flebile luce. Una leggera brezza muoveva la fiamma, tingendo di chiaroscuri il volto dell’uomo eretto al centro del gruppo di ragazzi che si erano divisi in egual numero sia a destra che alla sinistra dell’anziano padre di Abdullah. Il suo compito quel giorno era quello di insegnare a scrutare il cielo, per scoprire nel buio assoluto, interrotto dai puntini numerosi delle costellazioni, le indicazioni utili per orientarsi nel deserto, tanto affascinante quanto infido. Nella terra, ogni tanto, si notavano piccole tracce che terminavano, in anfratti e fessure delle poche rocce presenti presso le oasi. Segni quasi impercettibili di minuscoli solchi ed il movimento della finissima sabbia, denunciavano agli occhi più esperti, la presenza di questi piccoli ma temibilissimi butidi, scorpioni non più lunghi di 8-12 centimetri ma pericolosi persino per l’uomo. Il loro veleno iniettato col pungiglione, posizionato al termine della coda, avrebbe potuto provocare infatti, un arresto cardiaco. Animaletti questi che cacciano durante il tramonto, individuando le prede con il tatto e paralizzandole col veleno prima di afferrarle con le lunghe pelipalpi provviste di artigli. Non erano ovviamente gli unici animali pericolosi che frequentavano di notte o di giorno l’inospitale ambiente nord africano. Anche il cobra comune, fa da padrone nell’africa settentrionale. Già il temibile Naja haje, della famiglia degli elapidi, alla quale appartengono le specie più micidiali di serpenti. Alcuni, come appunto il cobra comune, può raggiungere dimensioni ragguardevoli che in alcuni casi sono superiori ai due metri. Di colore marrone grigiastro, si mimetizza facilmente nel suo habitat preferito, popola i deserti, le praterie le aree urbane, ma lo si può anche trovare nei campi circostanti le oasi. Si muove anch’esso di notte, sicuro di se ed impudente e non esita ad avventarsi, avanzando sibilando contro il nemico, dopo essersi rizzato verticalmente dilatando l’ampio cappuccio per intimidire l’avversario.





Alla prossima puntata


Italo Surìs





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