domenica 21 ottobre 2007

Una bella famiglia



21 ottobre 2007


Sono stato piacevolmente sorpreso da una notizia apparsa sul quotidiano repubblica ieri. L'articolista ha accennato ad una prova fatta da un piccolo imprenditore del settore alimentare, un artigiano pastaio, per verificare il tipo di vita che i suoi dipendenti erano costretti a fare con 1000 € al mese. Ha provato a tirare avanti la famiglia con la stessa cifra ma ha resistito solo venti giorni, poi ha preferito aumentare la paga ai suoi dipendenti di ben 200 €!


E' la prima volta che in questo paese si leggono cose simili e almeno dagli anni settanta non succedeva un miracolo del genere. Ricordo come a quei tempi, il mio datore di lavoro usasse regalare un panettone con relativa bottiglia a tutti i dipendenti a Natale!. In fondo a noi bastava ben poco per essere contenti, un pensierino, una dimostrazione di riconoscenza. Ci bastava il fatto di sentirci parte integrante di un sistema produttivo, di una famiglia, di una squadra di calcio determinata e motivata a vincere per la maglia che indossava, senza che ci fossero inutili rivalità, nè tantomeno prevaricazione di ruoli.


Ognuno aveva un numero ben definito cucito sulla maglietta e occupava un posto in campo di eguale importanza, che fosse stato portiere o centravanti, ala destra o attaccante, allenatore o il presidente della squadra. Erano quelli tempi in cui, nonostante il lavoro fosse duro e si lavorasse anche il sabato e qualche volta la domenica, si amava l'ambiente di lavoro e si rispettavano i colleghi. Il" padrone", come si chiamava a quei tempi l'attuale "imprenditore", era abituato ad andare assieme al capocantiere a trovare i propri operai sul posto di lavoro in zone montane di tutta la provincia, per farsi sentire e per ascoltare, per vedere ed imparare, per richiamare o per premiare.


E sempre la squadra al completo, veniva invitata a sospendere il lavoro per andare a bere un'ombra di nero, accompagnata da un panino col salame, in osteria. Erano altri tempi e il proprietario della ditta, che era stato un camionista, conosceva il significato di sofferenza e fatica. Suo figlio arrivò a pagarci un viaggio a Parigi e questo nel 1976!. Purtroppo la ditta, che nel suo massimo fulgore,ha dato lavoro a ben 670 operai con ottimi fatturati per quei tempi, alla morte del titolare fu ceduta completamente ad uno dei fratelli, un socio che da ragioniere, si occupava dell'amministrazione.


Costui la fece gestire tecnicamente al figlio, laureatosi in ingegneria che la condusse al fallimento!Aveva assunto nuovi geometri, donne della provincia in cui si trovava l'amministrazione, con il chiaro intento di gestire e controllare il personale, attraverso nuovi tecnici distaccati emotivamente da ogni rapporto con la maestranza.A costoro, i nuovi datori, diedero il compito di misurare tempi e metodi di produzione, cronometri alla mano. Non rendendosi conto, così facendo, di umiliare oltre gli operai, anche i vecchi assistenti, ritenendoli incapaci. Sparirono ovviamente panettoni a Natale e cene con gli operai, i quali non si fermavano più nemmeno un minuto dopo il termine dell'orario. Sparirono i rami secchi ma con loro anche le radici ancora attive e la ditta ovviamente fallì. Io per fortuna avevo preso altre strade già da lungo tempo, dal lontano 1986! I figli dei nuovi imprenditori, divennero anche loro semplici dipendenti in altre ditte!


Bene, oggi leggendo quell'articolo ho finalmente intravvisto un vero datore di lavoro, un uomo che ama il proprio operato che non è badate, come qualcuno sostiene, di fare fatturato, ma è impegno sociale, una responsabilità nei confronti di tutta la comunità, e per chi ci crede, verso il Creatore. E' il compito di un allenatore che cerca di tenere in vita una squadra di pallone, inserendo durante la partita, anche gli uomini che stanno in panchina, a costo di perderla! Il fatto è, che così facendo, è più facile vincere che l'inverso.


Erano anni che avrei voluto sentire le parole di un "padrone" e non di un "imprenditore", mi congratulo con lui, con il proprietario di un pastificio di Fano con venti dipendenti e di nome:"Enzo Rossi". Un cognome comune e banale per un uomo eccezionale!. Avrei voluto congratularmi con lui via e-mail, ma non ho trovato l'indirizzo! Prego chiunque fosse del luogo e leggesse questo mio post , di trasmettergli la mia ammirazione, un elogio al suo operato da parte di semplice operaio.



Italo Surìs

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