domenica 28 ottobre 2007

La perla d'oriente VII^




28 ottobre 2007

L’harem 7°


Può con un suo morso colpire il nemico ed il suo veleno è mortale anche per l’essere umano. Ma i nomadi, frequentatori assidui delle oasi, pur rappresentando il rettile anche per loro un serio pericolo, avevano imparato a conoscerne le abitudini, a temerlo ma nel contempo a rispettarlo e a venerarlo. Prima di accamparsi, studiavano attentamente il terreno, cercando di individuare ed evitare le zone più pericolose, corrispondenti al loro habitat abituale. Quelle distese di rocce che potevano soddisfare in qualche modo le abitudini di vita e le loro esigenze, prima fra cui la caccia di animali più o meno grandi da poter ingoiare , dopo averli paralizzati con un morso o con il getto del loro veleno, in un unico boccone. Il veleno stesso avrebbe poi provveduto a disintegrare lentamente le molecole delle cellule di quel corpo bloccato definitivamente nella rigidità della morte. Ma avevano addirittura imparato, tramandandosela di generazione in generazione, la tecnica più appropriata per catturarli. Lo facevano per ricavare la pelle da usare o da vendere al mercato o per offrirli come scambio agli incantatori di serpenti, i quali si esibivano nei mercati rionali delle grandi città arabe. Non era certo uno scherzo catturarli, sapevano che per farlo avrebbero dovuto incantarli con il movimento del capo più che con il suono melodico dei pifferi, afferrandoli poi prontamente subito sotto il capo, evitandone così il morso micidiale. I più piccoli invece venivano bloccati, incastrandone il capo in un bastone che terminava con due estremità a forma di V. E dopo averne afferrata la coda con la mano libera, venivano infilati in sacchi di iuta o ceste di foglie di palma essiccate , continuando incessantemente a muovere il braccio affinché il movimento impedisse loro di rivolgere il capo e i denti aguzzi verso la causa del pericolo per loro incombente.! E gli stessi nomadi che li avevano catturati o altri a cui erano stati venduti, provvedevano ad addestrarli ipnotizzandoli al suono del flauto dolce, muovendo incessantemente il capo in un movimento ondulatorio costante! Una forma spettacolare di esibizione, che usavano fare nelle città più popolate e da cui traevano un misero guadagno, elargizione di passanti curiosi e affascinati dall’immagine del vecchio accovacciato a gambe incrociate che, con il suono di uno strumento a fiato da lui stesso realizzato forando e levigando un unico pezzo di legno di ebano , riusciva ad ipnotizzare il serpente fino a bloccarlo completamente. E non raramente si spingeva fino ad accarezzarlo dietro alla testa ripiegata leggermente all’indietro in attesa di scattare in avanti per colpire il nemico e dilatata nella classica forma a cappuccio, tipica di questo tipo di animale a sangue freddo, allorché si prepara ad attaccare. Eppure lo stesso rimaneva miracolosamente immobile, quasi impietrito, egli stesso bloccato dallo sguardo sereno e fermo dell’incantatore, mentre la coda ancora si muoveva impercettibilmente, indicandone la vitalità apparentemente sopita. Gli spettatori che si fermavano ad ammirare questo inconsueto e pericolosissimo spettacolo, raggruppandosi in semicerchi composti perlopiù da vecchi e bambini, non sapevano che moltissime volte ai serpenti venivano tolte le sacche contenenti il veleno in modo che non potessero più costituire pericolo per il berbero che lo aveva catturato ed addestrato. Veleno che mani sapienti sapevano trasformare in medicamenti miracolosi, mutandolo in piccole dosi di antidoto per gli eventuali morsi sicuramente mortali anche per l’uomo, di questi velenosissimi rettili della famiglia degli elapidi.

Alla prossima puntata

Italo Surìs

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