Pordenone 18 febbraio 2008
“ Buongiorno, questa è l’abitazione di Mauro Corona che è temporaneamente assente, siete pregati di richiamare o di lasciare un breve messaggio dopo lo squillo.” “ sarete richiamati al più presto possibile grazie.” Mi prese allora un senso di sconforto, un’insofferenza, che man mano aumentò, sfiorando l’irritazione allorché, dopo la sesta telefonata, non riuscii a mettermi in contato con il grande Mauro, l’eroe della Valcellina, il famoso scrittore che tutte le donne amano per la sua sensibilità che apparentemente contrasta con il suo fascino di rude uomo di montagna, ma che in fondo non rappresenta altro che il rovescio della stessa medaglia.
Ho avuto la fortuna di conoscere Corona, o per meglio dire, di vederlo a Claut, paese da cui proviene mia moglie. Lo trovai in un bar del centro, con un braccio appoggiato stancamente al bancone di acciaio, mentre la mano destra sosteneva un bicchiere di buon vino rosso, ancora mezzo pieno o mezzo vuoto. Mi misi allora ad osservarlo attentamente, su di lui circolavano voci che ormai si erano trasformate in vere leggende. Derivavano da un condensato di atteggiamenti, da vizi e virtù che potevano riassumersi in sentimenti, emozioni, sogni e fatti concreti. Una simpatica eccentricità si rispecchiava nella fama di sensibile e famoso scrittore di grido, ma anche nel suo atteggiamento burbero e scostante ma anche nel suo modo di vestirsi.
Il suo abbigliamento abituale era, e lo è ancora, costituito da un gilé che copriva a malapena il torace aprendosi sul petto nudo e lasciando completamente scoperte le braccia, già dalle spalle. Indumento che veniva indossato anche o soprattutto in pieno inverno, quando fuori la temperatura non raggiungeva lo zero e la gente girava nelle strade ghiacciate del paese infagottata in pesanti giubbotti e con il volto fasciato da morbide sciarpe di lana.
Ma di lui si conoscevano anche la capacità ed il coraggio nell’affrontare vette e rocce, apparentemente inviolabili, in scalate ardue e difficili, affrontate con il solo mezzo della forza delle braccia e della sua tenacia. Una grinta che si sposa quasi al suo estro, alla sua geniale fantasia e alla sensibilità, che meglio esprime nel raccontare eventi della sua infanzia. Ma grande è nel contempo, la capacità di coinvolgere emotivamente i suoi lettori, allorché descrive la vita passata fra i monti, fra le amate piante di boschi che stanno scomparendo, come scompare con esse tutta l’umanità, perché natura ed uomo sono univoci ed indissolubili elementi, legati ad un unico destino.
Una natura vittima della bramosia umana, del suo incontrollato ed incontrollabile desiderio di possesso, come se il controllo su di essa potesse diventare il controllo sull’universo e quindi sul creato. Già Dio si fece uomo e ora l’uomo vuol farsi Dio, con ogni mezzo, lecito o illecito che sia.
Quella che l’uomo sta facendo contro l’incalzare del nemico il quale, con il busto eretto e con la lancia salda nel pugno, cavalca su cavalli bardati con corazze di lucente acciaio chiamato sviluppo? Sarebbe sciocco dividere il mondo a spicchi come si divide un’arancia o un mandarino o, per restare in tema con gli ambienti in cui vivi che sono alla fine anche i miei, una cacciottina di ricotta affumicata o una fetta de formaj di malga. Tu, tuu, tuuuu; il telefono sta ancora squillando a vuoto, ma vedo il tuo viso fasciato sulla fronte dalla bandana, la stessa che ha fasciato la testa di uno che sul cemento ha fatto la sua fortuna, pubblicato sullo stesso giornale a cui invio questa lettera aperta, sperando che la pubblici.
Ciao Mauro
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