lunedì 7 maggio 2007

l'altro letto


07 maggio 2007

Si sa dicono che nella vita vi siano tre amori. Tre forme distinte di amare una donna. Il primo è, passionale, coinvolgente è quello che non ti fa dormire, che ti fa soffrire. E’ il rapporto di passionalità completa di tutti i sensi, lo senti sulla pelle, nel corpo nell’anima , affonda le sue radici nel profondo del tuo essere, lo annienta, lo divora, lo risucchia in un vortice senza fine, in un buio baratro di perdizione sessuale, di godimento e goduria, di spasmodica eccitazione e di prolungate attese, centellinate ad arte fino allo spasmo, fino all’eccesso, fino allo svuotamento di ogni energia del corpo e della mente, mentre il tuo essere entra in catarsi in ipnosi quasi completa. Pianti struggimenti, gelosie dolore intenso, tristezza e gioia inverosimile, picchi di esaltazione infantile e nel contempo romantica, caratterizzano questa fase della tua vita. E’ una fase adolescenziale da cui tutti siamo passati, che ha lasciato un segno indelebile nel nostro cuore. Un segno che non si cancellerà mai più perché inciso da sensazioni indicibili, intense. Sono le prime esperienze di vita assieme che creano questa complicità, l’isolamento voluto da un mondo per cui non provi più interesse, non servono amici, né feste o banchetti, ti sazi d’amore e di sesso , tanto sesso sempre, completo e appagante. Già la giornata non ti sembra nemmeno completa senza quello che pensi possa essere il dono più grande, scivolare nel suo corpo con dolcezza, con delicatezza, quasi a voler dire non ci separeremo mai, non potremo mai separarci, sto bene in te qui nel torpore più assoluto, fra le tue braccia umorali, fra le tue labbra tenere e carnose. Sì stringi, stringi, avvicinati sempre più a me!, non mi abbandonare, così fino all’alba di domani, anzi no!. Per sempre per sempre, scivola col tuo sguardo sul mio corpo, usa la carezza delle tue labbra copri la mia pelle con i tuoi biondi capelli, sorridi di gioia mentre soffio delicatamente dietro al tuo collo. Liviana dove sei ora Liviana. Non posso più guardare quella tua foto, i tuoi magnifichi occhi azzurri che mi hanno fatto innamorare, le tue labbra che mi hanno reso schiavo, il tuo bellissimo sorriso che ha stregato il mio animo. Sono seduto sul divano e ho la tua foto in mano, quella foto in bianco e nero che ha immortalato la tua sfolgorante bellezza, ventenne, seduta sui gradini di casa, sorridente. Il mio sguardo scivola sulle tue tonde ginocchia , poi più su sulle tue cosce tornite che io conosco così bene, come tu conosci tutto di me, del mio corpo di allora, anch’io ventenne. Quante volte ho sfilato delicatamente anzi no!, che dico frettolosamente, con foga , con malcelata attesa le calze di seta dalle tue gambe tornite, quante volte le ho accarezzate fino all’inguine, mentre tu rovesciavi all’indietro il tuo capo, socchiudendo le labbra di piacere, mentre le palpebre si richiudevano in una sottilissima fessura e la tua lingua scivolava languida lungo la bocca incantevole. Bastava poco per far avvampare il fuoco sempre vivo del desiderio, fuoco soffocato solo dall’estintore di un rapporto prolungato ed intenso. Guardo la tua foto e mi si stringe il cuore, avremmo potuto essere ancora qui accanto l’uno all’altra, coi capelli non più biondi. Si anch’io avevo dei finissimi capelli biondi. Tutti nasciamo con i capelli. E non è vero che si perdano o diventino bianchi, no! L’amore non può invecchiare mai, non può morire mai, non può sparire nel nulla, non avrebbe senso, non saremmo qui. Ci lasciammo perché troppo fragili. Ci tradimmo a vicenda, di chi fu la colpa, fui io?, fosti tu?, ora non ha più importanza, l’orgoglio e la vanità hanno rovinato per sempre un bellissimo rapporto, che non dimentico, che rimpiango, come rimpiango i miei vent’anni. Vorrei venirti a trovare nella tua casa o in quel letto di ospedale dove giace il tuo corpo esanime, ma non per far l’amore, non è più possibile, tuo figlio ha l’età del mio, e poi Dio ha voluto che non potesse più succedere. Il tuo sguardo ora è spento, fisso nel vuoto, i tuoi bellissimi occhi non sorridono forse più, le tue adorate gambe, che io ho accarezzato così intensamente, sono immobili e anchilosate, prive di vita come tutto il tuo corpo. Cannucce e tubi escono dagli orifizi del tuo corpo una volta statuario, nessuno accarezzerà più le tue perfette ginocchia, ma non perché non siano ancora maledettamente belle, no! ma per pudore e per rispetto. So già che tua madre santa donna, sarà sempre al tuo capezzale notte e giorno, con la tenacia e la forza che solo l’amore di madre possono avere. Avrei voluto venire da te a trovarti, per chiederti perdono, per dimostrarti che ti voglio ancora bene anche se ho la mia famiglia, un nuovo amore l’altro amore, quello sereno forse meno intenso e passionale, ma il più maturo. Non ho avuto il coraggio, avrei pianto di nascosto, avrei sofferto molto. Preferisco guardare questa foto e immaginarti per sempre così.



A presto
Italo Surìs

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