domenica 27 maggio 2007

a 'munnezza

27 maggio 2007

Si sta discutendo animatamente sull’emergenza dei rifiuti a Napoli. Sono addirittura volate accuse e querele per questo annoso problema fra la Iervolino, sindaco di Napoli e Casini. Certo, si sa, in politica ogni motivo è buono per far cagnara, crear zizzania, accendere gli animi, farsi veder belli, in poche parole per vendersi meglio e portar acqua al proprio mulino. A Napoli, lo hanno fatto in tanti, ma che ricordi personalmente, il problema dello smaltimento dei rifiuti è rimasto invariato nel tempo. Eppure non si può dire che io non conosca bene questa città, sono figlio di napoletani e in quella città, ci passavo ogni anno le ferie. I cassettoni ricordo rimanevano pieni per intere giornate, per settimane, e i sacchetti si accumulavano alla base degli stessi. Non esisteva ovviamente la raccolta differenziata e quindi per terra si vedeva di tutto, dai residui delle verdure, scarti delle stesse lasciate a marcire dai fruttivendoli vicini, a pezzi di scarto di pesce e di carne, rimasti dalla pulizia di intere carcasse. Cani e gatti banchettavano felici e indisturbati, rovistando fra il cibo ormai in decomposizione. Unica compagnia al loro scicallaggio, le innumerevoli mosche che ronzavano di continuo attorno al deposito all’aperto. L’odore nauseabondo della creolina s’innalzava disgustoso e pungente nell’aria rarefatta dal caldo dell’estate. Voci di donne rimbalzavano fra le pareti di alti palazzi settecenteschi. Chiamavano i figli, i mariti, le amiche a pranzo o a colazione. Alcune di esse ogni tanto rincorrevano urlanti, con la gonna tenuta leggermente sollevata sulle ginocchia con una mano, il ladruncolo di turno, che lestamente si era appropriato del portamonete, dandosela poi a gambe. Due uomini ed un carretto passavano presto ogni mattina e con lunghe scope di saggina ; mentre uno ammucchiava le carte e i residui delle notti insonni di una Napoli sempre in festa, l’altro le raccoglieva con un largo badile di alluminio gettandole velocemente in due grossi bidoni di ferro zincato, agganciati fra loro di spalle ed incassati in un carretto a due ruote, trainato a mano da uno di loro. In mezzo alle strade, costituite da grigie lastre di pietra lavica accostate fra loro, scorrevano nauseabondi rigagnoli di liqidi vari. Lavatura di panni ancora schiumante, urina d’animali, liquidi ancora fumanti, versati dalle donne dei bassi dopo aver scolato la pasta. Chiazze d’olio di motorini o di auto e il liquido di cottura dei pomodori che venivano cucinati davanti la porta di casa, lungo la via. “Quann zì Carmela faceva e’ botteglie e pummarole!”. Sì, cucinavano i polposi pomodori di San Marzano, in grossi pentoloni di alluminio posti su fornelli, lungo i bordi delle strade, aiutandosi vicendevolmente. Poi passavano a mano i pomodori già cotti, versando la polpa ottenuta con l’aggiunta di una certa quantità di acido salicilico, e una foglia di basilico, in bottiglie di vetro dalla chiusura ermetica. Le proteggevano come se fossero figli naturali, appena partoriti, al caldo di grosse coperte di lana. Ovvio che il liquido di cottura dell’enorme pentolone, in cui galleggiavano residui rossastri dei pomodori, finisse riversato lungo la via. Lo stesso seguendo dolcemente la pendenza dei stretti viottoli che portavano alla Sanità, finivano ingloriosamente la loro corsa in tombini di ghisa incastrati fra le lastre leggermente in rilievo. E sotto Napoli uno strano mondo, dipinto dal Malaparte come se fossero inferi, caverne, fogne immense percorse da liquami immondi abitate da esseri strani, da ciechi, da storpi, da donne discinte o ormai sfatte e da vere baldracche. Questa è fantasia si sa, ma che ci sia sotto Napoli un mondo da scoprire è una realtà. La stessa è sorta su grotte e cave di tufo, su anfratti e stanze segrete, la fogna immensa quasi fosse un’autostrada la percorre per lungo in molteplici ramificazioni, con i suoi incroci, i suoi segnali le sue luci conosciute solo agli addetti ed agli abitanti di questo mondo infernale: ratti, zoccole come si dice a Napoli, nome appunto dalla doppia valenza, che la dice tutta sui segreti di questa città; ratto e puttana! E’ questo il ricordo della Napoli di sempre, bella affascinante ma anche recalcitrante, una città nata libera, priva di regole, che non accetta imposizioni da alcuno, se non da coloro che in quei luoghi rappresentano una vera autorità. Il potere in cui erroneamente ci si identifica perché simbolo nel tempo di rispetto, di correttezza di prestigio: il camorrista. Uomo d’altri tempi che si circondava di guaglioni vestiti elegantemente come lui, con pantaloni e panciotto, ma con in tasca o cultiell, il coltello, che con mano lesta estraevano solo e raramente in caso di vera necessità, più per far valere la loro autorità che per colpire e ferire. Quell’autorità acquisita nel rione di pertinenza, rione Sanità, ai Camandoli oppure ai campi Fregrei, o ai quartieri Spagnoli. Mi sembra di vedere la fotografia di mio nonno, nel primo novecento, con i baffetti all’insù, un cappello di paglia in testa, un bastone laccato di color scuro e dall’impugnatura di prezioso avorio nella mano destra. Calzavano poi scarpe bicolori, bianche con la punta nera. Giravano in tre per le vie i cammorristi , si muovevano fra i viottoli fra i banchi del mercato, scegliendo questo o quello che prontamente, alla richiesta del prezzo, veniva regalato, con un sorriso da parte di tutti. Lo stesso sorriso benevolo, fatto anche dalle mogli e dalle figlie del proprietario che spesso venivano cedute con servilismo , come merce di scambio, in un fugace amplesso nel retrobottega della macelleria o del pizzicagnolo. Amore prezzolato che avveniva mentre il marito o il padre, continuava a servire i clienti dietro al balcone, con stampato sul volto un grande sorriso d’ipocrisia. Erano tempi belli e difficili come lo sono tutt’ora. Nulla è cambiato a Napoli dai tempi dei Borboni, o di Masaniello. I camorristi, le zoccole i femminielli, transessuali ben accettati che in genere lavorano come garzoni, amati anche dal popolino che ne rispetta la dignità. Napoli come San Paolo del Brasile o come Rio La stessa realtà gli stessi problemi, la stessa miseria umana. Sopraffazioni, violenze perpetrate fra le mura di casa, illegalità dilagante, droga il cui commercio passa di madre in figlio, come sistema di sopravvivenza, come simbolo di potere. “Song a femmina ò boss e teng rispiett” . E’questo il dannato motivo che nulla fa cambiare al sud come al nord, ove il rispetto viene dato al più forte al prepotente, a chi si fa valere, anche se con mezzi illeciti. Già perchè non ci sono più i vecchi e romantici cammorristi dai nomi di Don Gennaro, Don Salvatore, Don Peppino, no! ora hanno nomi significativi, che incutono terrore; Sandokan, o'sposo, Malafemmena, o uappo. Gli equilibri sono cambiati, gli interessi economici legati alla droga, alla prostituzione e perchè no agli appalti e forse fra questi quello inerente allo smaltimento dei rifiuti, fanno gola. Quindi nascono continue guerre, per il mancato rispetto di questa o quella regola, per lo sconfinamento voluto o fortuito di un confine, per un mancato pagamento. Per l'acquisizione di un appalto. Ecco quali sono i motivi per cui a Napoli nulla si muove o scoppiano le guerre , guerre vere, con morti veri, anche innocenti, anche di giovane età. Significativo il gesto del vescovo di Napoliche ha chiesto di deporre coltelli in una cesta in una chiesa di un rione dei più malfamati; forcella! Pochi i coltelli depositati, nemmeno un bazooka. Questa è la mentalità da cambiare, l’immondizia da levare, il sistema da modificare. E non basta Bertolasi, né quell’illuso di Casini, né la Jervolino e nemmeno l’esercito, che potrebbe intervenire in caso d’eccezionale gravità, se si dovesse scoprire il malaffare, il controllo irregolare e illecito degli appalti, ma non per altro. Il Napoletano è diventato fatalista ha visto di tutto, ha provato di tutto è passato sotto molteplici amministrazioni politiche nei secoli passati. La popolazione è stata decimata da malattie terribili, come la peste che decimò mezza popolazione o il colera, e il tifo. Gli stessi pericoli di adesso, le stesse possibili epidemie, la stessa passività degli amministratori locali; i Borboni degli anni tremila. Encopressìa di Napoli, la voglio chiamare, incontinenza delle feci. Ne soffrii anch’io fino alle medie. La malattia dei pazzi, un metodo per richiamare l’affetto di una madre chiedendo attenzione, chiedendo che ti pulisca, illudendosi di essere accarezzato. O in alternativa un sistema per tenere lontane le persone di cui ne temi la violenza. Violenza che forse potrebbe anche non esserci, ma di cui hai paura perchè già conosci. Questo è il vero problema dei rifiuti di Napoli, una città che chiede amore, che implora sporcandosi di escrementi, rifiuti del consumismo attuale, di non essere lasciata ancora una volta sola, con i suoi problemi irrisolti. Affacciato ad un balcone di un alto e antico palazzo di uno dei quartieri della città, vidi nel pianerottolo del palazzo, posto al di là della strada, un movimento strano. Erano tre ragazzi che si erano appartati in quelle che erano una volta le stanze ormai abbandonate di un appartamento. Si strinsero sul braccio sinistro un laccio emostatico, riscaldarono con un accendino in un cucchiaino della polvere bianca che poi con una siringa si iniettarono nel corpo. Rimasero per parecchio tempo adagiati, senza più conoscenza, sul lercio pavimento di quelle stanze di un grande palazzo, di una immensa città, formata da un popolo meraviglioso che soffre immensamente della sua miseria umana. Chi riuscirà mai a ripulire la vera spazzatura chiamata eroina o droga, o malaffare che sono i veri motivi dell’incontinenza dei nostri giovani?? Se pensiamo che nel business dello smaltimento dei rifiuti ci sono interessi grandissimi, ove più che per il reale smaltimento, alcune volte pagano in base al trasporto, si può comprendere come sia finita sotto inchiesta quella ditta veneta che aveva sotterrato sotto il pavimento del suo stesso stabilimento del materiale altamente tossico, fatturando trasporti in Campania. Alcune volte m' immagino camion pieni d'immondizie che girano costantemente senza pace, da una località all'altra dell'Italia senza mai fermarsi, che sia fantascenza??



Panorama di Napoli



ciao
Italo Surìs


Camorra

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Con il termine camorra si indica l'insieme delle attività criminali organizzate, con una marcata presenza sul territorio, che si sviluppano ed hanno le proprie radici in Campania, e che possono avere interessi anche al di fuori delle proprie zone d'origine. Sebbene il termine sia usato per indicare la società criminale nata a Napoli nel XIX secolo e conosciuta anche come Bella Società Riformata, oggi spesso si tende, erroneamente, ad identificare con questo termine un'unica organizzazione criminale simile alla cupola mafiosa siciliana o ad altre organizzazioni di uguale stampo. In realtà la struttura della camorra è molto più complessa e frastagliata al suo interno perché è composta da molti clan diversi tra loro per tipo di influenza sul territorio, struttura organizzativa, forza economica e modus operandi. Inoltre le alleanze fra queste organizzazioni, qualora si possano considerare tali semplici accordi di non belligeranza fra i numerosi clan operanti sul territorio, sono molto fragili e spesso sfociano in contrasti o vere e proprie faide, con agguati ed omicidi. Con il termine camorra spesso si indica anche un tipo di mentalità diffusa in Campania, ed in generale nel meridione d'Italia, che fa della prepotenza, della sopraffazione e dell'ambienti sociali, una divisione netta tra le due cose potrebbe risultare non attendibile.

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