venerdì 18 maggio 2007

Due righe alle nuvole IX


lettera ad un bambino mai nato. capitolo 9°


18 maggio 2007


Pagherei non so cosa per conoscere la loro lingua, per farmi raccontare la loro vita davanti ad un fuoco crepitante, alimentato nel camino da grossi pezzi di legno tagliati faticosamente con l’ascia.Ceppi di legno che bruciando allegramente, sprigionano quel profumo gradevole e intenso di resina. Odore classico che si annusa nell’intera vallata, che impregna la pelle, che trasforma il corpo di prosperose signore in ambra vivente. Gioielli in carne e ossa, sagomati dalle mani della natura con la massima perfezione, in un susseguirsi di curve piacenti ed armoniose. Donne del nord più estremo, slanciate, belle, dalla vita sottile, alte, dalle lunghe gambe forti e generose, tenaci ed armoniose. Visi angioleschi dai lunghi capelli biondi, dal sorriso sommesso e discreto di un candore simile al marmo di cui è costituito il gruppo marmoreo della pietà del Michelangelo. Pietà questa, deturpata dalle mani di un folle, con la stessa violenza inaudita che ho trovato fra questi boschi. L’attrezzo che ha violato il volto della madonna di marmo, ricorda da vicino le asce degli sfregiatori dei molteplici gruppi di verdeggianti pietà, presenti in queste foreste. Madre natura ormai senza lacrime, con in braccio il corpo esanime di un larice fattosi Cristo. Sapete, avrei voluto fare all’amore con una ragazza del luogo, l’ho conosciuta in albergo a Vilnus. Era di guardia alla reception del piano dove alloggiavo, con il compito di assegnare le camere ai clienti. Una ragazza dai capelli corvini, ma con gli occhi scuri, come gli abissi del mare e come esso, profondi. Profondità in cui facilmente chiunque si sarebbe perso per sempre, in cui avrebbe voluto volentieri annegare senza accorgersene, proprio come capita ai sub che se non avveduti, rischiano di annegare, di perdere coscienza inconsapevolmente, drogati dall’eccesso di anidride che sciogliendosi nel sangue e trasportato nel cervello, crea una forma di benessere, di euforia, che conduce ad una morte tanto sicura quanto dolce. Sì avrei voluto morire dolcemente nella profondità dei suoi occhi. Ho un debole per questa meravigliosa e stupenda vetrina dell’anima. Magnifici globuli rotondeggianti che da soli parlano di tutto il corpo, da cui un essere sensibile legge come se fosse un libro aperto, ogni sentimento, ogni desiderio, anche il più recondito e inconfessabile. Gli occhi dicono tutto, non è un caso che si voglia celare la loro vista agli sconosciuti. Un battito di ciglia, lunghissime ciglia color dell’inchiostro, possono farti capire, equivalgono ad un segnale ben definito, vergogna?, timidezza? Imbarazzo?, rifiuto?. Meglio rendersi impenetrabili, meglio non farsi leggere nella profondità dell’anima, meglio indurire lo sguardo e nascondere preziose perle d’amore, preziosi gioielli, per serbarli solo a colui che ami. Peccato, è un vero peccato non poter alcune volte godere della bellezza della natura, che come tale è di tutti, di tutti coloro che nell’universo amano il bello.


al prossimo capitolo


ciao
Italo Surìs

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