venerdì 11 maggio 2007

Due righe alle nuvole VIII





Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 8



11 maggio 2007

E questo mentre gli animali del bosco atterriti, fuggivano dinnanzi ai nuovi Attila alla conquista di un nuovo regno, di nuovi tesori della natura da trasformare poi in inutili oggetti d’arredo, per la cupidigia umana e per il suo orgoglio. Sì fu allora che capii, che iniziai ad amare la natura, così lontano dalla mia città natale, dalla caotica vita di ogni giorno, vita senza senso alcuno, dettata da ritmi insostenibili, dalla frenesia di esistere rincorrendo i nuovi idoli imposti. Già Roma, qui è come se non ci fosse nemmeno il suo ricordo. Così lontana, quanto? duemila, tremila chilometri?. Ma che importanza ha la distanza, i chilometri o i metri, o se vogliamo le miglia; unità di misura inventate dall’uomo e valide solo tecnicamente, esclusivamente se confrontate con il tempo reale. Non certo con quello fantastico, il tempo dell’immaginazione e della fantasia che non hanno limiti temporali, non hanno arbitrii né scadenze alcune. Già la fantasia, grandissimo potere donato all’essere umano dall’unità soprannaturale, per capire, per creare, per conoscere a fondo l’animo, per avvicinare terre lontane, immaginare continenti sconosciuti, mai visti nella realtà, ma così nettamente precisi nella dovizia di ogni particolare, nella mente di ogni abitante terreno. Sì Roma potrebbe essere a due passi se volessi, potrei sentire i suoni dei clacson, le grida dei fanciulli, garzoni dodicenni che alla mattina consegnano cappuccini e briosce calde ai clienti e ai proprietari di negozi o agli impiegati dei vicini uffici all’EUR. Oppure potrei sentire l’invito ad alta voce fatto ai passanti dai proprietari di bancarelle poste ai lati delle strade o delle piazze, dai venditori di olive giganti, di lupini ammollati nell’acqua salata, o il vociare insistente dei ristoratori che vorrebbero obbligare i turisti che transitano dinnanzi al loro locale, ad accomodarsi per gustare la coda alla vaccinara, gli gnocchi alla romana o l’abbacchio allo scottadito!. Prelibati piatti laziali, innaffiati dal vino dei colli romani. Ma non voglio pensare alla mia città adesso, voglio solo dimenticare per ora e per tutto il tempo della mia permanenza in questi luoghi, la vita della capitale d’Italia, l’affascinante frastuono della dolce vita, le fragorose risate delle ragazze e dei giovani turisti che, nella calura d’estate, si tuffano felici nella fontana più bella dell’urbe. La fontana di Trevi. Lungi da me in questo frangente i paparazzi di turno a caccia di scoop, i Vip, gli attori , i magnati, gli imprenditori. Costruttori ricchi sfondati, che si muovono per le strade del centro su lussuose macchine con autista, da cui sovente scendono stupende e prorompenti bellezze. No, ora questo non mi interessa, non ho nostalgia né della vita mondana, né dei musei né del colosseo o del foro italico, di nulla; voglio godermi la pace di questi boschi la serenità di questa gente laboriosa ed umile, povera e dignitosa, unita nell’indigenza e nella fatica.



Al prossimo Capitolo



Ciao


Italo Surìs

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