domenica 6 maggio 2007

Due righe alle nuvole VII^



Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 7



Sì, questo l’ho capito anni addietro, quando in un viaggio scolastico, organizzato dal liceo “Petrarca” di Roma, all’ultimo anno e prima degli esami di maturità, ci recammo in Lituania e in Lettonia. Fu un lungo viaggio fra valli e montagne attraverso i Carpazi , Polonia e poi la Cecoslovacchia, fra prati verdeggianti, laghi meravigliosi, piccole case di legno con i tetti in lamiera e boschi incantati. Un mondo a noi così lontano, affascinante nella sua semplicità della natura e del verde non ancora intaccati dalle mani rapaci dell’uomo se non in minima parte. Solo ogni tanto lungo i pendii di lussureggianti di montagne ricoperte da imponenti alberi di pino, di abete o di magnifici larici, dai colori vivi e dai rami cadenti simili a braccia supplichevoli, lunghi serpenti di vuoto, residui legnosi che segnavano la pace terrena, sfiguravano con una ferita permanente, simile allo sfregio eseguito con disprezzo dall’acido muriatico sul volto di una magnifica giovane donna, quell’immenso oceano di verdeggiante natura.. Larghi solchi nelle foreste a ricordo perenne di scempi avvenuti, di tagli, di abusi, di pianti di giovani madri verdeggianti e di inutili sforzi di magnifici padri con le solide spalle ormai già ben piazzate nel cielo. Ecco quei pini, quegli abeti, quei larici enormi dal corpo che poteva a malapena essere abbracciato contemporaneamente da decine di bambini in un gioioso girotondo, quelle piante di cui pur volendo non si riusciva a scorgerne la punta che stava sicuramente dialogando serena con gli angeli, quelli: erano sicuramente alberi di sesso maschile!. Uomini, coraggiosi e sensibili, forti e docili nel contempo, amorosi e generosi. Caparbi Donchisciotte, difensori di un mondo che volevano a tutti i costi proteggere, che non volevano venisse offeso, dilaniato, calpestato, che speravano non sparisse per sempre; poiché chi ama intensamente la madre giammai vuole che muoia. Sono convinto che abbiano offerto il loro corpo, indurito i loro tronchi, rendendoli acciaiosi ed impenetrabili ai denti delle motoseghe. E anche convinto che l’ambra, resina che si è nei secoli depositata nel terreno sottostante, sia colata copiosa dalle loro ferite simile a lacrime di sangue amaro, di sofferenza, di rabbia, nel constatare l’impossibilità di bloccare lo scempio, d’impedire le morti inutili, le ferite laceranti. Sì l’ambra prezioso materiale naturale che l’uomo ha raccolto con delicatezza dal sottosuolo, fra i giganteschi aghiformi, protetta nei secoli da strati di humus che ne ha nel tempo preservato la forma, i colori, i tesori in essa racchiusi.;come microscopici oggetti, fogliame, insetti. Resina indurita che la capace mano dell’uomo ha modellato, per farne oggetti preziosi d’ornamento, collane bracciali, pendenti a forma di cuore.


Al prossimo capitolo

Ciao
Italo Surìs








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