martedì 4 marzo 2008

Lo zolfo che odora di morte

04 marzo 2008

Ancora quattro, si muore a multipli di quattro in questo paese. Recente il decesso d’altri operai, alcuni prima di morire hanno supplicato i medici di salvarli perché a casa rimanevano i figli piccoli. Operai vittime del malcostume e dell’egoismo, della negligenza e dell’ignoranza, dello schiavismo moderno e dell’avidità di pochi. Ho sentito snocciolare alla radio dei dati apparentemente tranquillizzanti; gli incidenti sul lavoro e le morti in Italia, stanno diminuendo, ma cosa pretendete la morte fa parte della vita e il lavoro pure per cui la morte e lavoro possono anche coincidere. I posti di lavoro sono aumentati negli ultimi anni del 6% gli incidenti sono diminuiti del 7% per cui in totale vi è stato un decremento del 13%. Ecco questi sono i dati esposti dall’INPS. Freddi numeri come freddi sono ormai i corpi d’operai perlopiù molto giovani.

Ma cosa ce ne frega dei numeri e delle percentuali se le morti sono morti assurde?, se con un minimo di attenzione e di attrezzatura si potrebbero evitare? Cosa vuoi che se ne freghi una giovane moglie se suo marito è l’ultimo di una statistica di sfortunati: Un cazzo se ne frega! Per lei, quell’essere rappresentava il futuro, l’amore , la vita stessa, una speranza e con lui è morta anche la sua voglia di vivere, e la speranza per la propria prole. Allora le tabelle sono false, falsi dati vengono propinati in un periodo di campagna elettorale. Non tengono in considerazione le effettive ore di lavoro, i lavori part-time e quelli dei call center. Una statistica fatta quindi erroneamente su tutte le categorie dei lavoratori e non suddivisa per settore. Quanti operai sono deceduti nell’edilizia e quali, vecchi, giovani e extracomunitari in regola o clandestini? Questi sono i dati che ci servono per fare la fotografia di un aspetto allarmante della situazione e portare a galla le manchevolezze e le responsabilità che potrebbero essere di tutti, fuorché del singolo.

Intanto giovani madri piangono, lacrime amare scendono dagli angoli di bellissimi occhi neri, veli e fazzoletti coprono volti una volta bellissimi e gioiosi di spose e madri, trasfigurati dal dolore e sbiancati dall’incredulità. Là dove prima splendeva la luce della speranza, in quegli occhi che prima si soffermavano lucenti sulle mani incallite d’onesti e pazienti lavoratori, ora non resta altro che l’ombra della disperazione, mentre freddamente la voce di un funzionario dello Stato padrino, snocciola i suoi dati, ma non dal ventre di una cisterna, no, da una scrivania di un elegante ufficio al centro di Roma o di Milano. Funzionari con il viso adorno di occhiali alla moda e griffati, e forse indossati non tanto per necessità quanto per semplice e vanitosa scélta modaiola. Mentre altri esseri rappresentati sul monitor del suo computer da un semplice numero e da un importo, sono morti come topi nel corpo di un cetaceo di acciaio, impregnato di sostanze solforose e/o velenose, hanno lasciato questo mondo piangendo, con le lacrime negli occhi stanchi e altre che invece sgorgavano forzatamente dalle ferite del cuore mentre abbracciavano i fratelli che erano andati a salvare in vano con un atto di coraggio e di disperazione. Un atto d’estrema generosità che solo chi vive e lavora nella e con la sofferenza conosce.

Forse non serve più sapere se e di chi è la colpa di tutto ciò servirebbe solo se dopo non si rimanesse passivamente inerti, cinicamente inattivi dinnanzi a sì grandi sciagure, se ci si attivasse a prevenire e a controllare, se si considerasse la vita dell’uomo una ricchezza, un diritto, mentre la morte di un operaio una sconfitta per la società tutta e per lo stesso imprenditore. Saranno anche diminuite le disgrazie, e adir la verità ho grandi dubbi che sia così, visto ciò che si chiede alle nostre maestranze e le condizioni in cui lavorano. Una cosa è certa, desidererei conoscere i dati dei paesi europei più progrediti.

Italo Surìs

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