venerdì 7 marzo 2008

La padania senza il mozzo

07 marzo 2008



In una campagna elettorale, non si guarda in faccia a nessuno, solo promesse, inutili quanto vuote promesse che non hanno certezza d’essere realizzate. Non c’è nulla di scritto che possa essere impugnato in caso di un ripensamento. Lo stiamo constatando in questi giorni anche noi. Il comitato a cui appartengo, sta facendo una battaglia contro l’utilizzo indiscriminato di una vecchia e graziosa stazione in disuso da anni, per utilizzarne lo scalo come deposito provvisorio di materiale inerte. Uno sfacelo ambientale inutile, visto che esistono zone più idonee e meno esposte a problematiche ambientali, in cui realizzare nuovi scali e piazzali adeguati. E si badi bene con costi di gran lunga inferiori ad una soluzione prospettata, incomprensibile , ma non troppo.

La politica sta diventando schizofrenica, proprio come coloro che promettono cose irrealizzabili e contrarie a tutto ciò che ha rappresentato il loro precedente pensiero ed il personale modo d’agire cristallizzatosi nel tempo e tramutatosi poi in quotidiane e concrete realizzazioni . Incoerenza del momento attuale che poi, come d’incanto, svanirà nel nulla fino alle prossime elezioni. E’ questa l’etica dell’amministratore moderno, una forma di moralità con diverse variabili, quella della qualità, della quantità, ma soprattutto della durata. Se la propaganda elettorale potesse durare solo un millesimo di secondo, sarebbe tutto più facile. I nostri conti dracula, i Vladmjr della Transivania nazionale e regionale riprenderebbero in un istante il loro tetro aspetto di vampiri della notte, pronti a succhiare il poco sangue rimasto nelle vene di giovani vittime ignare, operai e anziani pensionati, giovani in cerca d’occupazione e piccoli e medi imprenditori.

Ecco allora che un imprenditore, il quale fin’ora ha guardato tutto ciò che è statale con il fumo negli occhi considerandolo improduttivo, pur cercando di strutturare gli enti a proprio vantaggio, all’improvviso si accorge che la nazione e la collettività ha il dovere di sacrificarsi sobbarcandosi i costi di ditte ormai improduttive e con il bilancio in passivo da anni. Pozzi senza fondo e perennemente in disavanzo. Che poi i manager e gli amministratori delle stesse, siano stati messi alla dirigenza di questi enti dai partiti stessi, in una corsa sfrenata alla lottizzazione contribuendo così al degrado economico, resta un piccolo e insignificante dettaglio.

Un caso emblematico che fa molto pensare, è l’affermazione di uno dei più grandi e quotati imprenditori nazionali se non mondiali, il cavaliere ed ex premier Silvio Berlusconi. In questi giorni di propaganda elettorale, ha promesso che se dovesse essere eletto, la compagnia aerea nazionale Alitalia, non verrebbe venduta all’Air France, ma resterebbe in mani italiane e più precisamente ad una cordata di imprenditori nazionali. In un’Europa ormai strutturata fisicamente ed economicamente, non c’è più spazio per i nazionalismi e neppure per interessi di quartiere.

Tutti sanno che per risanare i debiti che al 31 gennaio erano valutati in ben 1,28 miliardi di €, la collettività dovrebbe mettere mano al portafoglio. E questo lo si spaccia per amor di Patria e orgoglio Lombardo – padano. Non è mia intenzione considerare una ristrutturazione aziendale e la conseguente eliminazione dell’esubero di personale come una soluzione positiva, anzi la ritengo una scelta tanto dolorosa quanto indispensabile. Eppure non sono un imprenditore e non lo sono mai stato, trovo quindi strano che una corretta scelta imprenditoriale venga criticata da un rappresentante di categoria che fino all’altro ieri invocava la disobbedienza fiscale. Strano animale è l’essere umano, un genere dotato di coerenza, quella appunto del proprio tornaconto personale il quale potrebbe essere economico, d’ immagine o anche politico: Ma ciò non ha grande importanza, quello che interessa è che queste persone non dovrebbero governare. Purtroppo due sono le scelte da fare personalmente o adeguarmi adattandomi al sistema oppure cambiar aria.


Italo Surìs

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