mercoledì 19 marzo 2008

Il Bevaccione

19 marzo 2008

Secondo tema del giorno: “Il bamboccione”. E’ questo un nomignolo già in precedenza sentito e anche rifiutato con sdegno da molti ragazzi italiani. Fu se non sbaglio il ministro dell’economia a profferire tale termine, bonariamente e riferendosi giustamente al fatto che i ragazzi italiani vivono rispetto ai loro coetanei in famiglia fino ad una età che potrebbe essere quella di precedenti baby pensionati. Mi ricordo che sulla stampa e nelle piazze si sollevarono da parte della minoranza di destra, anatemi e accuse che per poco non sfociarono in dimostrazioni di piazza.

“Siamo costretti a star a casa fino ad un’età, che non si può certo considerare come prima giovinezza, per colpa della politica e del Governo. Siamo precari a vita la paga che ci viene corrisposta non ci permette di affrontare con serenità un futuro, di crearci una famiglia normale, di far su casa e casomai affrontare dei mutui per poterla acquistare”. Tutte sante parole, non c’è alcun dubbio che in ciò che è stato asserito ci sia un fondo di verità. Eppure qualche giovane, parte dai paesi africani o dell’est Europa per cercare lavoro altrove. Mi domando: che siano diversi, dei marziani o degli incoscienti, oppure per meglio dire dei disperati?

Ho degli amici della Bosnia e dell’Albania, altri del Ghana o della Romania, ma anche moldavi o polacchi e ucraini. Alcuni hanno trovato un degno lavoro, i più intraprendenti hanno aperto un’attività che è diventata anche redditizia, forse non troppo ma quanto basta loro per avere speranze per il futuro. So che vi sono delle contraddittorie recriminazioni che affermano che vi siano delle discriminazioni fra i cittadini della nostra benemerita nazione e quelli che provengono da altri paesi del globo, ma se così fosse considero ciò come una scelta puramente politica, un patto fra paesi, come alla fine ci fu fra il Governo italiano e quello belga negli anni della nostra emigrazione nel paese del nord famoso per le miniere di carbone. Vi furono allora dei patti o meglio dei contratti stipulati fra le due nazioni; merce umana in cambio di fonti energetiche.

Come potete vedere il mondo non è per nulla cambiato in più di cinquant’anni e penso che mai cambierà. Da che mondo e mondo, il commercio di braccia e di menti è sempre esistito. Purtroppo bisogna adattarsi. So che alle madri e ai genitori potrebbe anche dispiacere, so che considerano il figlio come una loro proprietà, un elemento per sopravvivere o uno specchio della loro stessa vanità, che rifletta un amore che si vuole riassorbire, completamente. E’ come auto amarsi intensamente, è una forma di narcisismo infantile, che non permette il distacco dallo specchio del laghetto che sorride a comando. Ma non si può ora appropriarsi di un termine tale, solo per difendere un figlio tanto scellerato quanto sfortunato, allontanandolo dalle proprie responsabilità. Non si può pretendere che il banboccio resti in letargo in eterno, soprattutto se ci sono delle vite spezzate dalla sua immaturità, la propria e forse anche di chi ha cercato di educarlo. Mi riferisco a Friedrich Vermicelli, un bambino ormai grandicello che non bevevo e non usciva mai di casa e che l’unica volta che si è allontanato, ha falciato in piena città, si parla di Roma, le vite ancora acerbe di due ragazze Irlandesi.

Pianga pure in silenzio il papà, ma si assuma le sue responsabilità, non lo difenda ad oltranza, non lo protegga ulteriormente da un mondo forse crudele, ma come lui in taluni casi troppo permissivo. Risponda Friedrich di ciò che ha fatto davanti alla sua famiglia, ai genitori delle sue coetanee e al giudizio dell’uomo oltre che a quello di Dio. Forse è venuto il momento per lui di crescere e di maturare veramente allontanandosi per un po’ dalla sua famiglia prigione dorata, per entrarne in una vera dove, ne sono sicuro, lo aiuteranno sempre che lo voglia, a trovare una valida motivazione per essere utile e diventare un umile e silenzioso vero protagonista della comunità. Ciò sarà possibile solo se riuscirà ad allontanare da sé eccessi di qualsiasi genere, droghe o alcool che siano e da quel bisogno compulsivo che ormai si è impossessato della nostra gioventù, fino a renderla schiava della propria immagine o di forme altamente lesive della propria personalità, per l’unico e sciocco scopo di non sentirsi “un nessuno”.


Italo surìs

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