giovedì 20 marzo 2008

cingoli sulle nostre coscienze

Immagine da Agraria rivista on line
20 marzo 2008


Non son degno di teeee..., cantava una canzone di parecchi anni fa, una frase sempre più attuale anche se non accompagnata dalle dovute note. Vedete, mi son reso veramente conto di cosa stiamo perdendo, e che sarei felice se riuscissimo a preservare con l'aiuto dell'istinto di sopravvivenza, il quale ha sempre contraddistinto l'essere animale e quindi umano, proprio oggi. Tornando come al solito a casa, passeggiando tranquillamente lungo un viottolo di campagnafra i campi verdeggianti di Polcenigo, dirigendomi a S.ta Lucia di Budoia, come d'incanto dalla mia destra sono comparsi tre meravigliose creature della natura.


Non ho creduto ai miei occhi, impossibile mi son detto. Già non mi è mai capitato di vedere in pieno giorno e così vicini alle abitazioni dei caprioli, sì avete capito bene dei caprioli, qui vicino a casa mia. Mi sono fermato ad ammirarli a bocca spalancata, erano agili e correvano veloci in fila indiana in direzione dell'aperta campagna. Alle loro spalle, si ergevano nitide e possenti le nostre belle montagne, appena ricoperte da una leggera coltre di neve sulla sommità, quasi fossero delle anziane donne con le guance rigate dalle rughe della sofferenza, madri stuprate dai propri figli, sagge vecchie pazienti ed immobili nonostante il dolore che solo l'essere umano sa infliggere a un suo simile indifeso e debole.


Già perchè la natura, è una madre che soffre in silenzio perchè non può rivoltarsi contro i propri figli, carne uscita dalle sue viscere generose. Questo è il motivo per cui le cime erano candide nonostante nel mezzo del cielo splendesse il sole, quasi volesse sorridere alla vita rappresentata da tre animaletti che danzavano sulle fertili zolle ancora odoranti di terra, terra vera, quella generosa e nemmeno toccata oppure appena sfiorata dalla cupidigia dell'uomo. Sembravano felici i camosci, anzi lo erano, si sentivano protetti, sicuri, liberi e innocenti come ormai neppure un bambino non è più. Già ho pensato, di che cosa vivono quegli esseri incantevoli, di cosa hanno bisogno per non disperdere inutilmente le loro energie, di niente o quasi. Di due germogli e un pò d'erba tenera, nient'altro.


Nessuna casa in cemento, nessun elettrodomestico nè alcun cellulare e neppure le scarpe firmate o la borsetta taroccata, niente di tutto ciò, solo aria e libertà. Sono due parole che contrastano e stridono con quelle che ho scritto all'inizio del post di questa sera, quelle della canzone;...non son degno di teee. Certo non siamo degni di vedere un gioioso futuro, nè di essere liberi come semplici animali, non siamo più liberi nè di nascere, nè di morire. Non possiamo più permettercelo perchè anche per morire servono quei maledetti soldi, quella sporca carta straccia che ci voglion far credere essenziale, necessaria più del sole e dell'acqua, del verde e dell'aria, e forse anche più dell'amore per la natura e per il nostro prossimo.


Poveri animali illusi ed ingenui come me, che sperano ancora che l'uomo si ravveda e riscopra il gusto della semplicità, che poi è staticità, lentezza, benessere psicofisico, senza sapere che non serve null'altro. Eppure proprio a poche centinaia di metri, là oltre le colline, avrebbero dovuto passare dei carichi pieni delle lacrime delle anziane ed infelici montagne. Lacrime amare, luccicanti quanto l'oro, sì tanto oro trasportato dai tir per farne cemento. Avete capito bene là dove vivono le farfalle dovrà, se non si riuscirà a comprendere cosa stiamo perdendo, passare un bisonte impazzito, anzi dieci, cento , una mandria intera che con gli zoccoli di gomma e la massa di acciaio, stritoleranno il nostro futuro e con esso le nostre speranze. Ho cercato di gridare, di farmi sentire, di urlare a squarciagola, ma è come se avessi avuto attorno a me un involucro invisibile e ovattato, dei pannelli fonoassorbenti che hanno impedito al mio grido di dolore di espandersi nella vallata, in alto verso il cielo, in basso fra le zolle.


Avrei voluto avere con me in quel momnento oltre alla borsa, mia unica compagna di viaggio, anche la fotocamera che ho appena acquistato peccando anch'io di cupidigia, non ho pensato al cellulare, già a che serve un cellulare in mezzo ad un campo in fiore?, a parlare forse con gli uccelli, come san Francesco o a dialogare con quegli esseri sfortunati, ma pur felici nella loro incoscienza?. Ma forse è stato meglio così, penserò per tutta la vita di aver fatto un bel sogno, un sogno da cui non vorrei più risvegliarmi, un sogno che purtroppo non collima con la realtà, ma quel che è peggio con il desiderio dell'abitante più stupido che esista su questa terra, l'uomo.


Sono spariti all'improvviso, sono volati via come degli angeli, sì quegli angeli in cui non crede ormai più nessuno e forse ormai neppure lo stesso Signore, tanto è lo sconforto che sicuramente proverà in questo momento sentendosi nuovamente e costantemente abbandonato e ferito nel costato da una pala meccanica o dai cingoli di un escavatore. Ancora una volta ho guardato in alto, ho socchiuso gli occhi e ho pensato ad un presagio e mi son detto: vai avanti Mario, continua verso l'ultimo obbiettivo, blocca quei camion, falli deviare, trova altre soluzioni, ma continua, continua al fine di serbare l'anima pura, anche se il corpo sta già imputridendo. ( scusate gli errori, ma l'amore per la natura e quello per l'uomo non può contenerne, oppure viceversa li deve proprio avere).


Italo Surìs

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