giovedì 12 aprile 2007

La grattitudo?

12 Aprile 2007

So bene perchè mi è venuto spontaneo quell' aforismo scritto nel blog odierno . Ne sono pienamente a conoscenza. Com'ero conscio di ciò che ho fatto e di ciò che sarebbe avvenuto. Chi mi conosce sa che amo i libri, mi danno la possibilità di sapere, d'alimentare la mia sete di conoscere, di riempire il vuoto della mia ignoranza, che scopro ogni giorno più profonda. Ho trascurato nella vita lo studio, ho trascurato quindi le mie esigenze profonde; l'esigenza di sperare e di apprendere. Sperare d'essere sufficientemente preparato per soddisfare le altrui richieste. Apprendere per non farmi trovare, all'occorrenza, privo di nozioni. Nella mia immaginazione, sapere e risolvere equivale a essere felice, come quando lo potevo essere, se fossi riuscito a risolvere un problema per la mia famiglia, rendendo un pò di serenità alla stessa. Mi sono sempre sentito troppo responsabile in questo. Una responsabilità che solo ora riesco a malapena a non farla mia, con grande fatica! La nuova famiglia, la società, rispetto alla vecchia, quella originale, non mi delega nè mi ha delegato alcunchè, anzi. Il fatto che voglia fare, dà fastidio, il bisogno d'approvazione irrita, la richiesta di calore umano sdegna. Quanti anni ho passato ; a studiare, a risolver problemi che sembravano irrisolvibili, sfruttando gli unici mezzi che avessi a disposizione, la mia intelligenza e la mia creatività e vivendo nel continuo panico di non riuscire a soddisfare le richieste fattemi. Quanto stress, quanto dolore, fisico e mentale. Non è facile signori pensare che da te si aspettino l'impossibile e come in un gioco grottesco, più i problemi da risolvere si facevano difficili, maggiori erano le prove a cui eri sottoposto. Come in un carosello senza fine, dove i contendenti erano la tua disperazione, il tuo orgoglio, la bravura acquisita il risultato raggiunto e l'altrui ingratitudine. La stessa, sempre la stessa che immancabilmente ha segnato la mia strada. La mia avversità nei confronti del danaro che ritengo facile risultato di compromessi, nasce anche da ciò, la mia rigidità e la negazione di accomodamenti, nasce da ciò. Non si possono risolvere i problemi con i compromessi. Non puoi insegnare ad un tuo soldato a combattere bene, allo scopo di salvarsi la vita in caso di pericolo, se non gli fai sputare sangue durante l'addestramento.E nemmeno si può rinunciare a fare una siringa, ad un bambino malato di tifo, per paura che pianga per il dolore. Quanti ragazzi ho tirato sù nella mia attività di capocantiere, non tutti son stati riconoscenti, alcuni come giuda hanno addirittura tradito, altri onestamente mi hanno ringraziato. Riconoscenti quest'ultimi di essere i più preparati del settore, nel mercato. E tutto senza chiedere, MAI!!. Tutto per iper responsabilità. Forse morirò così, non me ne pento, ho fatto quello che ritenevo giusto, dovrò continuare, è la mia vita, è la mia coscienza, è il mio compito. Mi ricordo la solitudine che provavo quando gli operai si appartavano con gli assistenti a cena lasciandomi solo in un tavolo a parte. Io ero il loro odiato capo, non si sedevano con il capo, il capo è come la peste, deve essere tenuto lontano. Allora già nel lontano 1990, se non prima, imparai a restare solo, con il peso delle responsabilità. Mi sentivo come un hot dog, fra due fette di pane. Dall'alto la dirigènza che chiedeva l'impossibile, scaricando su di me ogni responsabilità, ogni deficenza organizzativa, ogni incapacità manageriale. Dall'altra, gli operai che si sentivano oppressi, sfruttati, sempre umiliati. Ragazzi e non, soci di una cooperativa rossa, costantemente in rosso, che chiedeva continuamente il rosso del tuo sangue; per non chiudere, per sistemare il bilancio, sempre ed eternamente in negativo. Ed io risposi alla sfida, e con soli venti uomini, da un fatturato di 200 ML di vecchie lire, raggiunsi i 2.8 MLD nel primo anno d'attività. Quindici volte tanto, quasi come il cantiere da cui dipendevo strategicamente ma non realmente, che fatturò con 100 operai e mezzi a disposizione, 3= MLD di lire. E più facevo per loro e più ero odiato. Sapevo che avrebbero chiuso il cantiere, se io non avessi tenuto duro. Non era la prima mia esperienza in tal senso. E infatti arrivò il momento che quasi tutta la produzione inerente ai cantieri di Udine e di Gorizia, si spostò a Spilimbergo!. Ma l'odio, la gelosia è di questo mondo e l'uomo si sa pur di far dispetto alla moglie, è capace di tagliarsi i testicoli. Ero l'unico non socio, chissa perchè, o forse sì', dovevo gestire da capocantiere operai che si ritenevano tutti miei datori di lavoro, che non capivano, che non accettavano, che non volevano fare questo o quello. E proprio come in politica, o forse proprio per questo, gli alti dirigenti erano costretti ad appianare i problemi, accontentare questo o quel socio, per convenienza, per quieto vivere. Una guerra fratricida, per la scalata ai posti di comando, degenerò in uno smembramento della struttura manageriale. L'ingegnere che era stato chiamato a risollevare le sorti della società se ne tornò in veneto, come socio in un'altra struttura simile. Io ed altri responsabili ci trasferimmo lontani,a rincominciare tutto daccàpo. Il cantiere, quello che io avevo creato da zero, chiuse. Ecco questa è l'ingratitudine umana, questa è sete di potere che acceca, è autodistruzione. La conosco ormai da anni, ne sento l'odore da lontano e se prima ci soffrivo,ora non più. Avevo i miei motivi, ne risentivo forse perchè per me la riconoscenza e la gratitudine potevano rappresentare un atto d'amore, forse perchè avevo bisogno di mettermi continuamente in discussione, forse perchè mi ritenevo in dovere di dare incondizionatamente; perchè così sempre mi è stato chiesto. I libri, dicevo, per me sono come un pezzo del mio corpo, ho sempre sofferto dopo averli dati. Oggi ne ho regalato uno, parlava di Van Gogh, un pittore che amo oltremodo, un uomo che ha sofferto. Ci ho pensato in silenzio prima di darlo, poi come una liberazione me ne sono sbarazzato velocemente e serenamente, senza rimpianti!. Chissa, forse mi sentivo in colpa con la persona a cui l'ho dato. Sicuramente non è stato ben accetto, forse quest'atto avrà cozzato contro una convinzione preconcetta ormai radicata, o forse addirittura l'avrà anche rafforzata, non so. Probabilmente chi lo ha ricevuto si è sentito in obbligo di accettarlo per non ferirmi, o lo ha ritenuto un atto di debolezza. Ripeto non so, non so. Probabilmente è stata da parte mia un'ingerenza, una forzatura involontaria, un metodo inconscio per creare un senso di colpa, per violare nell'intimità un essere umano. Forse..., forse. Sicuramente sono immediatamente scattate le difese, una presa di distanza, un chiarimento silenzioso quanto deciso. Un grazie, accompagnato da un sorriso di circostanza, due frasi di convenienza.... e poi silenzio glaciale. Ho capito!, mi sono alzato e silenziosamente, ho cambiato posto continuando a leggere il secondo libro che avevo con me. Sono contento, non ho rimpianti, mi sentivo di farlo e l'ho fatto. Devo imparare a farlo ancora, per liberarmi dal legame con le cose, dal loro significato intrinseco. Mi sono permesso di accennarne solo per esprimere quello che ho provato. Non intendo assolutamente, credetemi, offendere la dignità di nessuno. Se ho sbagliato e dove, spero che mi venga detto un domani, ma non credo che ciò avverrà mai!; ho la sensazione infatti che ci siano dei preconcetti alla base di tutto.
Altri cantieri aspettano d'essere aperti, altri giovani operai, d'essere istruiti, e Italo Sùris finchè tien botta è a disposizione.

ciao
Italo Sùris

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