giovedì 26 aprile 2007

Due righe alle nuvole V^

26 Aprile 2007


Due righe alle nuvole IV^


Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 5




Il terreno per questo motivo presentava larghe ferite, linee discontinue che si rincorrevano a mo di ragnatela, rughe della natura ormai stanca delle angherie dell’uomo, dei suoi soprusi, delle violenze in risposta al suo amore, ai frutti da essa donati. Frutti del suo seno, del suo corpo maturo, nei secoli sempre generoso con l’uomo e con ogni abitante che incurante calpestasse il suo volto, senza rispetto né accortezza, ma con protervia ed arroganza. Lungo i confini dei pascoli brulli, si ergevano mura di pietra formati da sassi sovrapposti fra loro e resi scuri dagli anni e sostenuti dalla misericordia del tempo. Vano tentativo per ricordare all’uomo moderno la nobiltà del lavoro fisico, il piacere di trasferire la propria energia in un rapporto di scambio e di ruoli. Scambio perpetuo di passione fra l’essere umano e la pietra, senza inutili illusioni di una impossibile durata nel tempo ma con la consapevolezza che l’uno avrebbe dovuto prima o poi prendersi cura nuovamente dell’altro. Anzi con la speranza da parte del manufatto di sassi, che l’uomo tornasse prima o poi ad accarezzare le pietre per riporle con delicatezza al proprio posto più naturale. Un gesto d’amore per la natura, un rispettoso e dovuto compito, necessario a conservare nel tempo l’integrità del creato, come questo ci è stato donato, senza infierire ma preservando, senza ferire ma rifinendo, un’opera ormai già strutturata nei tempi più antichi. Non cemento, non leganti bituminosi, né ferri che potessero ferire, scalfire, incidere, deturpare, infangare con il colore del liquido brunastro della ruggine, i licheni cresciuti nelle sue fessure. Solo muretti massicci nelle misure e nella forma, ma instabili nella struttura . Scaglie di pietre raccolte nei campi dopo lunghe e faticose ricerche, ma anche divelte con forza e protervia dai fianchi dei monti adiacenti. Cave antiche, ferite nei fianchi, nel costato di una generosa natura, silenziosa e paziente da uno stupido uomo che in un raptus d’incontrollabile follia distruttrice, ha affondato i suoi acuminati arnesi d’offesa, nel ventre. Pura follia l’uso indiscriminato di un oggetto per qualcosa già donato, meretricio di madre, sfruttamento del corpo da parte di figli ingrati, sciupio di un rapporto sereno d’amore, con un atto di violenza incestuosa e sprezzante. Vecchi muretti fatiscenti e cadenti dalle cui fessure fra le pietre nel terriccio misto ad humus stratificato nel tempo, trovava la forza di nascere e svilupparsi un piccolo fiore dal colore intenso degli occhi di nostra Madonna. E nei cui piccoli anfratti famigliole di minuscoli esseri animali cercano sicurezza e protezione. Ecco i veri miracoli, che osservavo nell’incantevole spazio contiguo, muretti che delimitavano enormi appezzamenti verdeggianti di terra in modo continuo come lunghi serpenti dal corpo senza limite alcuno.


Al prossimo capitolo.


ciao

Italo Surìs


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