02 aprile 2007
Sono anni, anzi decenni che si parla della Franzoni, la madre accusata d’aver ucciso il proprio figlio. Finquando non sarà definitivamente condannata dalla giuria, non si potrà dire che realmente sia colpevole di quell’efferrato omicidio di ben dieci anni fa. Sembrerebbe, a detta dei giornalisti, che se avesse confessato, avrebbe già scontata la pena. Così non è stato. Lei stessa si è arroccata dietro una strategia difensiva del diniego, dell’innocentismo. Ma dobbiamo crederle?, basta non crederle?, è possibile che una madre uccida il proprio figlio?. Queste ed altre domande serpeggiano nella mente di milioni d’italiani in questi giorni. Ovviamente non sono i soli pensieri, magari, ce ne sono di altrettanto importanti, anzi forse di più gravi, a cui pensare. Ma a me piace scavare nell’inconscio, ci provo senza per altro essere un esperto, né tantomeno un criminologo, né uno psichiatra o psicologo. Mi piace analizzare, smembrare le cose ed i pensieri, le ipotesi e le emozioni, per poi ricomporle sotto un altro aspetto, una forma diversa, con una logica impropria, originale. Ecco perché nonostante tutto , mi ci provo, perchè metto in discussione dei canoni fissi, dei punti, nei tempi considerati inamovibili, in condizionabili; soprattutto quando si parla d’amore. Ripeto per chi non avesse ancora letto alcuni saggi psicologici in merito , ultimo documento quello della psicologa Alessandra Grazziottin sul gazzettino nei quali viene sottolineato che l’amore con la A grande, non è proprio quello che molti pensano che sia. Non è fatto di passioni, di dimostrazioni plateali, di doni esagerati, di umiltà condizionata di condizionamenti di obbligo di assoluta obbiedenza, no! Esso è fatto di piccole cose, di sentimenti non esplosivi, di noia. Si proprio di noia: La noia, come mi diceva tempo addietro un conoscitore della mente umana, è il vero motore della propria esistenza, la slow-wife, la vita lenta, come si dice adesso è il vero sistema per godersi gli attimi rimanenti della propria esistenza, la sofferenza, anzi la sua accettazione incondizionata, rende la vita sopportabile; è necessaria, poiché come appunto, dice la nostra bravissima Alessandra, sia l’amore che la sofferenza non lasciano mai al punto da cui si è partiti. Il resto è fuga dalla realtà. Scusate ma volevo proprio ricollegarmi all’articolo della Grazziotin, avevo intenzione di commentarlo,sottolineare come, definito il giusto approccio nei confronti del prossimo, l’amore coinvolge ogni aspetto della società. Ma ritorniamo al caso Franzoni. Sicuramente, se, e ripeto se, dovesse esser stata lei a uccidere in maniera violenta il proprio figlioletto, sarebbe da dedurne che lei stessa è affetta da disturbi dell’umore. L’ira incontrollata che ha armato la sua mano ne è la riprova. Analizziamo cos’è l’ira, da cosa scaturisce un attacco d’ira, perché non si controlla. Ripeto questa mia personale interpretazione, non vuole esser altro che un’analisi di un semplice spettatore dei fatti, non competente in materia, solo più propenso ad analizzarlo con l’aiuto dei media e degli specialisti, al solo scopo di comprendere e quindi, più disposto a perdonare. L’ira nasce da una frustrazione, da attese non soddisfatte, da qualcosa che avviene e che si odia, che si è cercato in tutti i modi d’impedire, con il proprio operato, con tutti gli sforzi, appunto perché si sa che la reazione potrebbe essere incontrollabile o apparentemente tale, proprio come la sofferenza che ne deriva. La gestione errata delle frustrazioni può portare all’ira, ma anche alla paura, una grossa paura d’essere a propria volta vittima d’ira ,di violenza. Un sistema quindi di autodifesa preventiva, che può sfuggire di mano, un cortocircuito del cervello, indubbiamente uno stato non certo volontario, premeditato. Mi stupisce come il P.M. abbia potuto pensare che l'omicidio possa essere stato commesso con lucidità. Quando c’è ira, non ci può essere lucidità a parer mio, la stessa è come un’energia incontrollabile, come una molla d’acciaio armonico resistentissimo, trattenuto da un fragilissimo fermo e che si libera all'improvviso dalle mani di bambino che non riesce a gestirla. Sì un interruttore interiore che apre un circuito inconscio di una remota risposta ad una situazione analoga vissuta sulla propria pelle. L’unico incontrollato sistema imparato per rispondere a determinate sollecitazioni, l'unico linguaggio acquisito da parlare nelle stesse situazioni. La Franzoni quindi vittima carnefice??, direi di si e questo è risaputo, e il suo eventuale diniego di riconoscere i fatti non è del tutto premeditato, no, è la negazione di un fatto troppo grave per poterlo accettare, un delitto troppo grosso da perdonarsi, un senso di colpa eccessivo per la fragilità di una donna apparentemente cinica ed abbietta.! Se riconoscesse i suoi errori e non li negasse, sicuramente non resisterebbe alla vergogna, al senso di colpa alla paura del giudizio degli altri e di Dio. Non so se resisterebbe in carcere. I giudici, ritengo, che tutto ciò già lo sappiano. Secondo il mio parere, stanno cercando un modo per gestire la situazione senza venir meno ai propri doveri nei confronti della legge. A questa faccenda i media hanno dato troppa voce, è vero, è un fatto ecclatante, noto ed in cui i personaggi sono di primo piano, di famiglia anche benestante e conosciuta nonchè stimata, una famiglia che sul proprio prestigio personale ha puntato tutte le sue carte, iniettando lo stesso bisogno psicologico anche alla figlia Anna. Sì questo è il vero problema, la Franzoni è una madre di vetro, una di quelle tante fragili madri costruite dalla società, sfornate dalla fabbrica delle abitudini, delle consuetudini, dei preconcetti, dei cliscè, delle etichette. Sono il frutto delle nuove telenovele degli anni tremila, che dall'etere scendono nelle nostre case e i cui attori si riconoscono dal loro comportamento del tutto eguale, dal loro sistema di vita, dallo stile, dagli atteggiamenti fra loro del tutto simili. L'amore è anch'esso una materia, un linguaggio che si impara nella prima infanzia, e si badi bene, non sui banchi di scuola, ma da insegnanti chiamati genitori. Però gli insegnanti questa materia devono a loro volta averla appresa, altrimenti i linguaggi si confonderebbero, e come nella torre di Babele, ognuno parlerebbe, incompreso, il proprio. Quello che è successo, alla fine lo si può considerare semplicemente l'aquisizione da parte della società di un nuovo linguaggio, un idioma che si sta diffondendo sempre di più, perchè facilmente reso assimilabile da una maestra convincente; la paura!. Il suo nome signori, il nome di questa nuova lingua universale si chiama VIOLENZA!!!
Sono anni, anzi decenni che si parla della Franzoni, la madre accusata d’aver ucciso il proprio figlio. Finquando non sarà definitivamente condannata dalla giuria, non si potrà dire che realmente sia colpevole di quell’efferrato omicidio di ben dieci anni fa. Sembrerebbe, a detta dei giornalisti, che se avesse confessato, avrebbe già scontata la pena. Così non è stato. Lei stessa si è arroccata dietro una strategia difensiva del diniego, dell’innocentismo. Ma dobbiamo crederle?, basta non crederle?, è possibile che una madre uccida il proprio figlio?. Queste ed altre domande serpeggiano nella mente di milioni d’italiani in questi giorni. Ovviamente non sono i soli pensieri, magari, ce ne sono di altrettanto importanti, anzi forse di più gravi, a cui pensare. Ma a me piace scavare nell’inconscio, ci provo senza per altro essere un esperto, né tantomeno un criminologo, né uno psichiatra o psicologo. Mi piace analizzare, smembrare le cose ed i pensieri, le ipotesi e le emozioni, per poi ricomporle sotto un altro aspetto, una forma diversa, con una logica impropria, originale. Ecco perché nonostante tutto , mi ci provo, perchè metto in discussione dei canoni fissi, dei punti, nei tempi considerati inamovibili, in condizionabili; soprattutto quando si parla d’amore. Ripeto per chi non avesse ancora letto alcuni saggi psicologici in merito , ultimo documento quello della psicologa Alessandra Grazziottin sul gazzettino nei quali viene sottolineato che l’amore con la A grande, non è proprio quello che molti pensano che sia. Non è fatto di passioni, di dimostrazioni plateali, di doni esagerati, di umiltà condizionata di condizionamenti di obbligo di assoluta obbiedenza, no! Esso è fatto di piccole cose, di sentimenti non esplosivi, di noia. Si proprio di noia: La noia, come mi diceva tempo addietro un conoscitore della mente umana, è il vero motore della propria esistenza, la slow-wife, la vita lenta, come si dice adesso è il vero sistema per godersi gli attimi rimanenti della propria esistenza, la sofferenza, anzi la sua accettazione incondizionata, rende la vita sopportabile; è necessaria, poiché come appunto, dice la nostra bravissima Alessandra, sia l’amore che la sofferenza non lasciano mai al punto da cui si è partiti. Il resto è fuga dalla realtà. Scusate ma volevo proprio ricollegarmi all’articolo della Grazziotin, avevo intenzione di commentarlo,sottolineare come, definito il giusto approccio nei confronti del prossimo, l’amore coinvolge ogni aspetto della società. Ma ritorniamo al caso Franzoni. Sicuramente, se, e ripeto se, dovesse esser stata lei a uccidere in maniera violenta il proprio figlioletto, sarebbe da dedurne che lei stessa è affetta da disturbi dell’umore. L’ira incontrollata che ha armato la sua mano ne è la riprova. Analizziamo cos’è l’ira, da cosa scaturisce un attacco d’ira, perché non si controlla. Ripeto questa mia personale interpretazione, non vuole esser altro che un’analisi di un semplice spettatore dei fatti, non competente in materia, solo più propenso ad analizzarlo con l’aiuto dei media e degli specialisti, al solo scopo di comprendere e quindi, più disposto a perdonare. L’ira nasce da una frustrazione, da attese non soddisfatte, da qualcosa che avviene e che si odia, che si è cercato in tutti i modi d’impedire, con il proprio operato, con tutti gli sforzi, appunto perché si sa che la reazione potrebbe essere incontrollabile o apparentemente tale, proprio come la sofferenza che ne deriva. La gestione errata delle frustrazioni può portare all’ira, ma anche alla paura, una grossa paura d’essere a propria volta vittima d’ira ,di violenza. Un sistema quindi di autodifesa preventiva, che può sfuggire di mano, un cortocircuito del cervello, indubbiamente uno stato non certo volontario, premeditato. Mi stupisce come il P.M. abbia potuto pensare che l'omicidio possa essere stato commesso con lucidità. Quando c’è ira, non ci può essere lucidità a parer mio, la stessa è come un’energia incontrollabile, come una molla d’acciaio armonico resistentissimo, trattenuto da un fragilissimo fermo e che si libera all'improvviso dalle mani di bambino che non riesce a gestirla. Sì un interruttore interiore che apre un circuito inconscio di una remota risposta ad una situazione analoga vissuta sulla propria pelle. L’unico incontrollato sistema imparato per rispondere a determinate sollecitazioni, l'unico linguaggio acquisito da parlare nelle stesse situazioni. La Franzoni quindi vittima carnefice??, direi di si e questo è risaputo, e il suo eventuale diniego di riconoscere i fatti non è del tutto premeditato, no, è la negazione di un fatto troppo grave per poterlo accettare, un delitto troppo grosso da perdonarsi, un senso di colpa eccessivo per la fragilità di una donna apparentemente cinica ed abbietta.! Se riconoscesse i suoi errori e non li negasse, sicuramente non resisterebbe alla vergogna, al senso di colpa alla paura del giudizio degli altri e di Dio. Non so se resisterebbe in carcere. I giudici, ritengo, che tutto ciò già lo sappiano. Secondo il mio parere, stanno cercando un modo per gestire la situazione senza venir meno ai propri doveri nei confronti della legge. A questa faccenda i media hanno dato troppa voce, è vero, è un fatto ecclatante, noto ed in cui i personaggi sono di primo piano, di famiglia anche benestante e conosciuta nonchè stimata, una famiglia che sul proprio prestigio personale ha puntato tutte le sue carte, iniettando lo stesso bisogno psicologico anche alla figlia Anna. Sì questo è il vero problema, la Franzoni è una madre di vetro, una di quelle tante fragili madri costruite dalla società, sfornate dalla fabbrica delle abitudini, delle consuetudini, dei preconcetti, dei cliscè, delle etichette. Sono il frutto delle nuove telenovele degli anni tremila, che dall'etere scendono nelle nostre case e i cui attori si riconoscono dal loro comportamento del tutto eguale, dal loro sistema di vita, dallo stile, dagli atteggiamenti fra loro del tutto simili. L'amore è anch'esso una materia, un linguaggio che si impara nella prima infanzia, e si badi bene, non sui banchi di scuola, ma da insegnanti chiamati genitori. Però gli insegnanti questa materia devono a loro volta averla appresa, altrimenti i linguaggi si confonderebbero, e come nella torre di Babele, ognuno parlerebbe, incompreso, il proprio. Quello che è successo, alla fine lo si può considerare semplicemente l'aquisizione da parte della società di un nuovo linguaggio, un idioma che si sta diffondendo sempre di più, perchè facilmente reso assimilabile da una maestra convincente; la paura!. Il suo nome signori, il nome di questa nuova lingua universale si chiama VIOLENZA!!!
Nessun commento:
Posta un commento