sabato 14 aprile 2007

fra capra e asino...


14 Aprile2007


Ieri alla fermata dell’autobus, una madre seduta sulla panchina stava allattando al seno, con noncuranza e senza alcun apparente imbarazzo, una bellissima bambina. alla vista di tutti la mammella destra che fuoriusciva dagli abiti, con i suoi tessuti cavernosi rigonfi di prezioso liquido nutriente. Al mio arrivo, questa madre con inflessione sicuramente straniera , mi ha chiesto la cortesia di avvisarla quando sarebbe arrivato il mezzo. Andava se non erro a San Leonardo. Non sono riuscito ad indovinare il paese di provenienza di quella giovane donna dal volto segnato da rughe leggere. Rumena, indiana?, sicuramente una Rom asiatica, mi sono detto. A riprova di ciò il lungo vestito ed il corpetto anch’esso intonato al colore dell’abito. I capelli lisci e scuri erano raccolti dietro alle spalle, mentre lo sguardo fermo e deciso dimostrava fermezza e dignità. La dignità di una donna che seppur povera, mostrava senza remore, quanto amore e cura riservasse al suo vero tesoro. Una dolce bambina che succhiava avidamente dal capezzolo il cibo dalla madre metabolizzato e che si sarebbe rigenerato, come in un miracolo della natura, per molto tempo ancora. Nel risponderle tenevo lo sguardo abbassato verso il suolo, in segno di naturale riserbo, di timidezza, di paura di rompere un incanto. Si un miracolo a Milano, una scena d’altri tempi ormai persa nell’oblio della frenesia moderna, in cui tutto è o manipolato o di plastica, dai ciuccetti alle tettarelle, ai biberon di elastica gomma di caucciù, al latte liofilizzato e arricchito con vitamine e sali, aromatizzato alla carne di bovino di pollo o d’agnello. Un mondo in cui la carne non è più in uso nemmeno per procreare o godere, sostituita anch’essa da surrogati d’ogni forma e colore. E con un senso di grande serenità e di gioia infinita che ho accolto la scena che mi si presentava davanti. I ricordi si sono all’improvviso ravvivati nella mia mente, assumendo colorazioni più o meno intense in base al periodo a cui si riferivano. Splendidi quelli più vicini di data. Grigi o di color seppia, quelli più remoti nel tempo. Sì proprio come se fossero foto d’altri tempi, ho rivissuto i racconti fattomi relativi alla mia primissima infanzia, quando a dieci mesi e mezzo dalla nascita della sorella maggiore, sono venuto alla luce settemino, del peso di due chili e rotti e con l’ittero. Eh, quando si dice sfiga, si dice sfiga!!
Ecco perché il mio cervello non si è sviluppato più di tanto. La riprova di ciò, sta nel fatto che mi sono interessato anche di politica. Ma non piangiamo sul latte versato! Ma quale latte e latte; se non sono stato nemmeno allattato. Hanno i miei poveri genitori provato a nutrirmi col latte di capra che non digerivo. Semplice motivo: mai in vita mia ho digerito i cornuti!!! Ecco la soluzione!!! “ il latte d’asina, che i miei genitori pensavano fosse di difficile reperibilità!. Non facevano conto d’essere in Italia. Ma bando agli scherzi, non fu certo facile per loro accollarsi l’onere di reperirlo. Ottennero però man mano che crescevo, un ulteriore risultato. Ero sì nato con un cervello di dimensioni proporzionate al mio peso, ma alla conclamata insufficienza, avevano aggiunto un’ulteriore disgrazia. Un cervello piccolo e anche geneticamente formatosi dall’incrocio di geni umani con quelli animali. E che animale. Ora so perché i professori mi hanno sempre punito e le donne fin troppo apprezzato!!!. Certo che se continuo così, c’è il rischio che mi facciano presidente della repubblica delle banane. Mi dispiacerebbe invece venire a conoscenza che qualche bella donna, toccata nel cuore, scoppiasse in lacrime sapendo che in extremis, sono sopravissuto anche ad una micidiale epidemia di difterite. Purtroppo per qualcuno, come potete voi stessi constatare, sto scrivendo dall’aldiquà e non dall’aldilà. Non c’è riuscita la morte a sconfiggermi, figuriamoci alcuni amici di merenda! Ma torniamo alle mammelle!. Dicevo, non c’è nulla di più bello da vedere che una madre mentre allatta il proprio figlio. Se fossi stato un bravo pittore avrei immortalato una scena simile su una tela. Pensate, il corpo dalle forme ancora arrotondate dopo la gravidanza, il seno rigonfio e bianco, segnato da vene impercettibili che indicano la tensione dei corpi cavernosi sottostanti, rigonfi di latte. Serbatoi di vita, da cui anche giovani padri si nutrono gioiosamente, dopo che il figlio si è già saziato. Turgidi capezzoli rosati che fungono da dispenser di attimi di felicità. Gioia di vivere, risate di giovani, sereni sguardi di coppia sull’immagine del figlio dormiente su una nuvola d’amore. Amore che si ravviva e si nutre di questo idilliaco fotogramma. Ecco il ricordo di mio figlio Fabio. La gioia di Rosa, mia moglie, che lo osservava felice, assopito nel lettino di candido frassino. Bella mia moglie, nel viso e altrettanto nel corpo. I lineamenti del volto addolciti dalla serenità, dalla gioia interiore; che neppure la cattiveria umana potè mai scalfire. Per avere questo figlio dovette soffrire, e non solo di parto. Scoprì d’essere in cinta, da segnali inquieti e per non perderlo prima del tempo, fu costretta a letto immobile. Un giorno, tornando a casa, la trovai piangente, distesa a terra vicino al telefono. Uno sciocco personaggio di nome, Padrone e di cognome, Coglione, che non amo certo più ricordare, le diede una possibilità di scelta: o tuo figlio, o il mio lavoro!. Non è difficile ovviamente replicare ad una proposta così sciocca. Rosa dopo un mese di assoluta immobilità, tornò a lavorare. Era stata chiamata dal sommo Cojon, per collaborare con la finanza la quale si era presentata in visita ispettiva. Non trovò la sua scrivania , era già occupata da un’altra impiegata già assunta definitivamente, fu costretta a rimanere in piedi, per tutto il tempo e per tutte le ore della giornata. Soffrii molto sapendo che mia moglie in cinta, con un pancione enorme, dovesse subire tali angherie. Eppure sarebbe stato facile per lei, eccellente ragioniera, far scoprire errori evidenti. E’ una storia che si è ripetuta ancora nel tempo. Ripeto: noi non siamo fatti di pasta frolla. Rosa riprese a lavorare dopo il periodo consentito dalla maternità, per un solo motivo, condurre quest’essere spregevole in tribunale!!! Fu duro lavorare accanto a quell'uomo. Per due anni, finquando non si andò in tribunale e si vinse la causa trovandosi poi un lavoro migliore, ci fu un susseguirsi di angherie, trabocchetti, mobbing ed inutili stratagemmi.
Il coglione pagò, Oh se pagò!!!!!!!!


Ciao a tutti
Italo Sùris

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