lunedì 23 aprile 2007

Due righe alle nuvole IV^


23 Aprile 2007


due righe alle nuvole III

Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 4


Per rivivere i medesimi appassionati momenti, quando correvi dinnanzi a me felice con le gonne che si sollevavano impudicamente mostrando le curve addolcite del tuo corpo acerbo. Lo facevi maliziosamente, sapendo che ti avrei prontamente raggiunto dopo breve e affannosa rincorsa. Affanno dovuto, non tanto allo sforzo fisico, quanto al desiderio e alla passione mal trattenute, che invadevano incontrollate il mio corpo. Ti rincorrevo, come si rincorre e si raggiunge un sogno che non si vuole assolutamente perdere. Un sogno che si blocca per sempre nella realtà con un bacio appassionato sulle labbra, mentre nuovamente eccitato dalla freschezza del tuo viso, dalla luminosità dei tuoi occhi, dal piacevole contatto del tuo seno sul mio petto, la mano scivolava frettolosamente e nervosamente sotto il vestito cercando, frugando, toccando, esplorando, ciò che tu avevi deciso fosse ancora una volta mio! In queste giornate il tempo passava sempre troppo velocemente, il tramonto sempre atteso da noi con ansia portava nei nostri cuori emozioni contrastanti, serenità e felicità dovute all’incanto del sole ormai stanco che si nascondeva nel buio, ma non per timore, no!, solo perché aveva assistito curioso per troppe volte, alle nostre molteplici effusioni d’amore. questo perlomeno era ciò che ci passava per la mente, quello che volevamo credere guardando il sole che scompariva all’orizzonte, mano nella mano, la tua testa appoggiata sulle mie spalle, i tuoi neri capelli, fra le mie dita, che usavo per accarezzarti il volto, cosciente che mai natura avrebbe potuto fare nulla di più soffice di più delicato, di più bello. Immacolata, così ti chiamerò d’ora in poi. Immacolata come la tua pelle, immacolata come la tua anima, immacolata come il tuo candido sorriso, immacolata come tutto il tuo corpo. Quel giorno stavo correndo lungo un viottolo sterrato, fra le colline, lontano da Roma. La giornata era splendida ed il sole bruciava la pelle e rendeva arsa la gola. La lingua secca s’ingrossava quasi a suggere il residuo di saliva che ancora inumidiva le mucose del mio palato. Il respiro si faceva sempre più affannoso, tanto che ero costretto sempre più spesso a fermarmi lungo il tragitto piegando il tronco in avanti e appoggiando le mani sulle ginocchia, quasi a sorreggere il busto di un giovane atleta che aveva chiesto al proprio corpo più di quanto lo stesso potesse concedere. Le gocce di sudore imperniavano la mia fronte e cadendo macchiavano ed inumidivano il terreno sollevando piccolissime nuvolette di polvere. I prati circostanti erano aridi, soffrivano della mancanza di pioggia e dell’eccesso di sole. Fili d’erba bruciata da micidiali dardi di fuoco, scagliati da Dio Sole attento testimone di ciò che avveniva sul nostro pianeta.



Al prossimo Capitolo.




Ciao
Italo Surìs

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