domenica 8 luglio 2007

Vecchio ardore IX^




08 luglio 2007


L’amore non ha età 9°

Proprio così signori, il marchese: Edipo, Giacomo Casanova, un bambino viziato, con il volto segnato dagli eccessi, vanitoso, egocentrico, narciso incipriato, imparruccato, a caccia sempre di forti emozioni fra le calli e nei salotti. Ambienti in cui, allegramente, con gli occhi celati dietro un ventaglio di stoffa o di tulle, dame discinte dai seni prosperosi e dai fianchi generosi, a lui si concedevano a coppie. Questi sono i ricordi che il marchese raccontava insistentemente e inascoltato, ai servitori. Unici e spazientiti spettatori delle sue esternazioni continue, dei suoi soliloqui, del suo morboso bisogno d’attenzione, un povero e innocuo demente, che parlava d’amori, di follie, di calde farfalle di carne, di seni prominenti e di turgidi capezzoli. Solo il nostro tenero amore mia cara Anita ha potuto accendere nei tuoi occhi smorti, ma sempre belli, quella fievole luce di speranza. Purtroppo il nostro non era altro che un tenace amore fra due fiori appassiti. Fra persone fragili emotivamente, che difficilmente avrebbero potuto aiutarsi a vicenda, sostenersi, uscire dal tunnel della disperazione e dell’insicurezza emotiva. Come avremmo fatto a continuare la nostra relazione, quale sarebbe stato il nostro futuro se ci fossimo messi “ assieme”, sempre che tuo padre lo avesse permesso?. Forse era proprio la nostra fragilità che ci teneva uniti, un bisogno di sicurezza, la necessità di sostenersi uno con l’altro, raccontandosi reciprocamente le proprie difficoltà, le sofferenze di anima e del corpo, il desiderio di farla finita con quella vita assurda ed infernale. Già incontri sofferenza, un continuo rigirarsi del dito nelle piaghe dell’anima, che non avrebbe portato da nessuna parte, che non avrebbe risolto alcun problema, anzi! Avrebbe sommato quelli di entrambi, amplificandone gli effetti dirompenti, fino ad esplodere in qualche forma autolesionista e distruttiva. Non era il caso di continuare, no, non era proprio il caso. Tu hai scelto di morire, ma non sei deceduta fra le mie braccia, come fece la donna dell’eroe dei due mondi, sei morta male , da sola, soffrendo. Sei volata via con il vento, leggera come sempre sei stata nella tua breve ma sofferta esistenza, hai finito di vivere, per aver desiderato intensamente dar fine alla tua esistenza, con quello che per te poteva assumere l’aspetto di un definitivo atto d’amore. Hai voluto in te fortemente un altro figlio, hai gioito sentendolo crescere ogni giorno di più, farsi grande, riempirti il ventre, succhiarti la linfa vitale, appesantendoti finanche il fragile corpo. Un figlio che accarezzavi con la tua mente e forse con le stesse tue mani, appoggiandole sul ventre appena rigonfio e teso. Un ulteriore figlio che non avresti mai allattato, a cui non avresti mai dato alcun nome, che alla fine ti ha condotto dove tu già sapevi. Dannato figlio dalle sembianze di una massa di cellule informi, grottesca e imperfetta struttura di cellule amorfe, anch’esse senza misura, senza limiti e pervase da una continua esigenza di incontrollabile crescita. Non due minuscoli piedini incrociati, non un abbozzo di viso di occhi e di bocca, non un paio di piccole mani, ma solo un maledetto tumore. Non sei più con noi, anche tu sei andata, tanto, tanto tempo fa, forse tuo figlio ormai grande in questo momento è lì vicino al tuo letto, con la guancia appoggiata sul guanciale di marmo, che piange.

alla prossimapuntata!


Italo Surìs

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