giovedì 19 luglio 2007

Due righe alle nuvole XV^


19 luglio 2007



Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 15


Sono tutti nomi di donne, donne che nella mia vita ho amato e venerato, nomi di giovani ragazze con cui ho trascorso i momenti più belli della mia infanzia, brevi, ma sempre intensi, sempre piacevoli, divertenti, gioiosi. Non sempre ho fatto all’amore con esse, il più delle volte ci siamo solo divertiti, dividendo il nostro tempo ed i nostri piccoli segreti di piccoli amanti adolescenti, seduti su una panchina vicino a Trastevere. Esplorando, è vero, talune volte i nostri corpi acerbi con mano trepidante che scivolava sotto le gonne o fra gli spazi lasciati liberi dai corti calzoncini di tela. Movimenti furtivi eseguiti spesso con la paura di essere visti, rimproverati, derisi o peggio puniti per ciò che allora veniva ancora considerato un peccato: la conoscenza dell’altro sesso, l’iniziazione attraverso i primi movimenti di mano frenetici e alternati, ad un gioco che poi avrebbe allietato tutta la vita futura . Il gioco dell’amore che tanto allieva le sofferenze quotidiane, facendo dimenticare la parte razionale del nostro pensiero a discapito di una dolce follia prolungata, una follia di piacere continuo ed intenso. Ma come ogni cosa, come ogni materia, anche l’amore va insegnato oppure si impara, sperimentando, ascoltando le proprie risposte emotive e fisiche, i brividi di piacere che percorrono il filo della schiena partendo dal sesso e che esplodono, alla fine, prepotentemente nel cervello, anzi in tutti in lobi mentali. Avvolgono gli stessi e li paralizzano come farebbe una gettata improvvisa di una massa uniforme di ioni o di cellule eccitate da cariche elettriche. Un cortocircuito mentale che immobilizza il tuo volere, lasciando che il compagno o la compagna continuino il loro operato sul tuo corpo prigioniero del piacere e ormai in completa balia della mano o delle dita del partner. Dita impazzite e umide d’umori che però, terminato il loro operato, non ti impediscono ma anzi permettono volutamente al tuo essere sfinito, di godere di quel panorama che solo Roma sa dare, soprattutto di notte, con il cielo stellato. La notte è un periodo della giornata che mi ha sempre affascinato, uno spazio di tempo in cui il silenzio è solo apparente per colui che sa sentire. Anche la notte ed il buio non sono tali se uno sa vedere oltre l’oscurità, come i gatti, animali stupendi, felini dalle enormi capacità di adattamento dovuta ai sensi eccezionalmente sviluppati. All’olfatto che indica la direzione di caccia, alla vista resa sicura anche nell’oscurità più profonda , dalla dilatazione delle pupille, all’agilità che permette di piombare in silenzio sulla preda azzannandola con micidiali mascelle contornate da affilatissimi denti. La preda vittima sacrificale del tuo piacere, che offre immolandosi per volere della natura, la sua esistenza per rinvigorire col sangue del suo corpo le forze del predatore notturno. Sì mi sento un felino a caccia di notte, buio perenne che esisterebbe anche se in cielo dovesse esserci una luce abbagliante. Per me non esiste notte, non c’è buio che non sia quello dell’anima tetro stato di oscurità raggelante. Questo sì buio impenetrabile, spazio di tempo irreale ed interminabile, soffocato dalle tenebre fitte della paura ,dell’angoscia e del terrore più cupo.


alla prossima puntata


ciao


Italo Surìs

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