martedì 10 luglio 2007

L'oro di Napoli


A’ FATICA

10 luglio 2007

Ammuncenn’ a faticà!, “andiamo a lavorare” così si dice ancora a Napoli quando si parla di lavoro, il lavoro più realisticamente per i napoletani rappresenta una fatica, un sacrificio fisico e mentale, l’ imposizione di un sistema che hanno sempre vissuto come metodo repressivo, sia quando erano regnati dagli Spagnoli, sia dai Francesi . Sì fatica, la fatica di vivere, di tirare avanti, di finire la giornata per potersi guadagnare un tozzo di pane, il filone alla francese, ma di dimensioni maggiori, oppure “ò palatone”, una pagnotta di forma rotonda dalle ragguardevoli dimensioni. Il companatico quasi sempre consisteva in pomodoro crudo, un pizzico di sale e dell’origano, il tutto bagnato da un filo d’ottimo olio d’oliva . Se il pane era secco, vendono ancora delle ciambelle piatte di grano duro chiamate “ friselle”, queste prima d’essere condite alla stessa maniera, venivano ammorbidite nell’acqua. Pane e pomodoro con un pizzico d’origano, il piatto di tutti i giorni, il mangiare della gente comune. Un cibo che ora è diventato ricercato, raffinato, offerto nei bar o nei ristoranti, anche di un certo rilievo, come antipasto o bocconcino con cui bere un bicchiere d’ottimo vino. Sia che siano chiamati pizzette, o bruschette, la consistenza non cambia, sempre di pane e pomodoro si tratta. Ma si sa la miseria ormai fa chic, e in più i nostri ristoratori hanno capito che un piatto “povero”, e semplice è maggiormente apprezzato perché genuino, fatto senza manipolazioni. Poi rende parecchio, economicamente parlando, un piccolo triangolino di pane appena dorato nel forno e un po’ di rosso di pomodoro, ormai reperibile in qualsiasi stagione dell’anno, un cucchiaino da caffè di olio d’oliva ed è un euro che parte!. Chi non ha ancora capito cosa stia comprando e a che prezzo, probabilmente è solo il cliente! Ma i partenopei sapevano bene cosa facevano, avevano ovviamente capito che potevano riempirsi gli occhi e lo stomaco con poco. La miseria del popolo napoletano ha alla fine permesso che si inventasse una pietanza unica, equilibrata e nutriente, qual' è appunto la pizza. Famoso l’aneddoto che ci viene raccontato per cui la decantata pizza margherita è stata inventata da un pizzaiolo partenopeo proprio in favore della regina Margherita di Savoia. Non tutti sanno però che la vera pizza napoletana è quella alla romana , per me la più gustosa , con aglio olio e pomodoro e nient’altro, fra l’altro costa anche una miseria. La gustavo per le vie di Napoli e vi assicuro che era profumatissima e squisita. Ora ci si è sbizzarriti nell’inventare ogni tipo di pizza usando e mescolando fra loro, alcune volte con dubbio risultato, una miriade di elementi da distribuire su questo semplice disco di pane. Ci si mette su di tutto, funghi, carciofi, salamino, wurstel, formaggi vari, mitili, verdure, olive e insalatine, e poi spek, persino il pesce e la nutella. Non mi stupirei che in un prossimo futuro, ci aggiungessero anche fiori di campo, margherite o petali di rosa oppure varietà diverse di frutta o di conserve. La fantasia si sa non ha limiti, soprattutto quando ci sonoin giocoi quattrini. Vedrete, in un prossimo futuro le multinazionali del settore alimentare, inventeranno un kit composto da elementi base della pizza, che venduti già amalgamati, si cuocciano automaticamente, creando del calore, tramite una reazione generata dal contatto di elementi chimici diversi. Certo che se facessero la pizza alle fragole o ai petali di rosa, guarnite da confettini di tutti i colori, sarebbe un gradito pensiero neiconfronti delle clienti di sesso femminile. Per i maschietti, proporrei invece, una pizza al sapore di buon tabacco. Penserei ad un buon trinciato forte, quello per intenderci con cui si facevano i famosi sigari toscani. Sicuramente sono cambiati i tempi, non c’è la miseria di una volta, e la concorrenza, come i clienti, sono aumentati. Eppure ricordo nelle pizzerie di Napoli, la pizza la si pagava parecchi anni fa, solo cento lire, avete capito bene 100 LIRE!!. Vediamo di fare assieme due conti!. Avrò avuto, allora, dai diciassette ai diciannove anni. Vi parlo quindi di ben quarant’anni fa al massimo, forse anche meno. Eravamo negli anni settanta, più o meno e una villetta a Sacile, poteva costare dai sette ai quattordici milioni di lire. Attualmente una casa non la si fa, sempre che se ne abbia la possibilità, con meno di trecentomila Euro, e se bastassero! Fatte le debite proporzioni, visto che in quegli anni la paga era mediamente di circa 100.000 Lit., la pizza costava alla fine un millesimo della paga mensile. Qui al Nord le pizzerie quasi non esistevano, anzi senza quasi, infatti i primi pizzaioli , i De Rosa di Agerola, vicino ad Amalfi, si fecero una fortuna in Friuli. Ai giorni nostri la paga media è di 1000- 1300 Euro al mese per cui, se la pizza dovesse, sempre a Napoli, avere lo stesso valore in percentuale, il suo prezzo non dovrebbe superare un euro, un euro e venti centesimi.! Ma a quanto pare, costa perlomeno cinque volte tanto, sempre parlando della pizza meno costosa!. Capisco che i miei conti siano stati fatti a spanne e potrebberoinnescare una miriade di controinterpretazionied obbiezioni, ma ognuno di noi è in grado di calcolare da sè, il reale costo dei singoli prodotti che, amalgamati fra loro, compongono tale squisita pietanza. Il costo complessivo, non dovrebbe superare appunto l’Euro, sopra menzionato. Si considera come elemento di paragone, la pizza base per antonomasia, “la margherita” che mediamente è venduta a circa sei Euro. Per carità non voglio far nascere un vespaio, con questo mio post, né fare i conti ai tanto contestati ristoratori o pizzaioli. Io so solo che anche questo piatto che una volta era considerato dei poveri, ora diventa esso stesso per una famiglia di operai, quasi inaccessibile. Tornando al sud; se i napoletani si alzavano al mattino per andare a faticare, noi, dal punto di vista del valore d’acquisto della nostra attuale paga, ci alziamo “per annà a murì!”


Non dico altro! http://www.pizza.it/lnk_ricette.asp

Saluti


Italo Surìs

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