martedì 3 luglio 2007

Calabria: pasta con le cozze



03 luglio 2007


Nere come l'asfalto


Rimettiamoci ai fornelli, immaginando di vivere in una città di mare, uno di quei paesi del tirreno che mi piacciono tanto, Maratea, Tropea, Amalfi, Diamante, o anche in una di quelle città che amavo moltissimo da giovane, in cui andavo a fare pesca subacquea nelle profondità del loro mare azzurro. Parlo di Sapri, ancora in Campania, o di Praia a Mare, presso la penisola degli infreschi, o di Palinuro dove mi tuffavo felice nei fondali rocciosi dell'isola di Dino, fra le acque trasparenti e limpide della sua grotta, azzurra come quella di Capri.
Posti eccezionali, come bellissima era anche Scalea, con la sua torre di avvistamento edificata proprio sulla spiaggia e le sue costruzioni medioevali che si arrampicavano, come terrazze e bastioni, uniti da piccoli viottoli o scalinate, a controllare e spiare le coste per avvistare i Saraceni. Chissà quante volte i Saraceni sono sbarcati lungo le coste di questo paesetto di mare, senza far danni, senza colpo ferire, andandosene con le pive nel sacco. Scalea città di Calabria, terra di briganti alla quale hanno legato la loro storia. Era ancora intatta ed affascinante negli anni settanta, quando andavo a pescare al largo con la barca a remi dei pescatori con lo scafo tinto di bianco e di azzurro. Pesanti imbarcazioni col fasciame spesso, di ottimo legno dalla chiglia regolarmente sollevata su tronchi intagliati alla bisogna e adagiati nella finissima sabbia color avorio.
Barche trascinate a riva a forza di braccia, forti braccia di giovani ed anziani pescatori dalla pelle perennemente abbronzata dai raggi ultravioletti di quel solarium naturale chiamato mediterraneo, dalle lampade denominate sole, dalla crema di nome salsedine. Questa era Scalea, paese dei cedri giganteschi, del pane, degli ortaggi sproporzionati e croccanti. E il cui golfo antistante pullulava di pesce straordinario e ora introvabile, come le cernie, i gronchi o le murene che si annidavano fra gli anfratti delle rocce nelle profondità marine.

Rocce ricoperte da ricci bruni, anemoni di mare, stelle gigantesche color della luce al tramonto, e ancora coralli, polipi e meduse. Meduse che vagavano come fantasmi, ectoplasmi sospesi fra le acque cristalline di un mare in cui, branchi di pesci argentati, passavano affianco al corpo di bagnanti immersi, senza minimamente scomporsi. Valve di mitili si aprivano per cibarsi del plancton, infinitesimale particella presente in abbondanza nell'acqua salmastra, di cui si cibavano grandi e piccoli abitanti degli abissi marini. Pesci dai fianchi argentati, come le alici, le sardine, le orate, le spigole, o dal dorso di un azzurro intenso come le aguglie, pesci dal corpo affusolato, col muso allungato e appuntito come quello del pesce spada. Ecco era questa la mia Calabria, terra in cui le donne, nei paesi fra i monti e anche lungo la costa, si vestivano ancora con abiti neri e si coprivano il volto con veli dello stesso colore, quasi fossero tutte in lutto perenne.
Giovani ragazze curiose e affamate d'amore, ti osservavano con sguardi furtivi, per cogliere con lo sguardo, senza essere notate, il fascino della tua giovinezza, da serbare poi nel cuore fino alla notte, unico momento in cui la loro fantasia poteva essere libera di galoppare fantasticando appassionati incontri d’amore, lasciando libera la mano di scivolare fra le cosce, robuste e ben tornite. Calabria terra selvaggia di emigranti, di pescatori, ma anche di briganti. Ciò che non fecero i Saraceni riuscirono a farlo i birbanti, ma non quelli dei secoli passati, i nostri briganti recenti, avvoltoi dell'era moderna che hanno permesso lo scempio di un paesaggio da favola. Non ci sono più conchiglie sulla sabbia finissima di scalea, solo case, residence; scatole di cemento dalle pareti scrostate, e dai balconi divelti.

Alberghi e palazzi, hanno preso il posto delle barche lungo la spiaggia, circondando d'assedio la torre dei Saraceni. Essa stessa oltraggiata dai residui del consumismo dei villeggianti e dai dissacranti recipienti gommosi, contenenti il liquido organico, secreto durante un fugace rapporto di sesso. Chissà se il nostro torrione avrà rivisto in quei corpi di giovani amanti, confondendo la danza d’amore che si svolgeva alla sua base con una aggressione di predatori, le fattezze genetiche dei mori approdati sulla costa nei secoli scorsi, dalla terra d’Arabia. Sono andato a cercare inutilmente l'impronta lasciata negli anni della mia gioventù dal mio corpo sulla spiaggia. Il segno di due natiche muscolose di un giovane ragazzo, che ha avuto il coraggio di lacerare quel velo, un velo scuro e nero proprio come l'asfalto che ha seppellito per sempre il mio amore sotto una coltre bituminosa. Addio mia bella Calabria, terra di nuovi e più pericolosi briganti.

Come al solito, quando faccio una premessa, mi lascio prendere la mano. Non fateci caso è la mia vena poetica che mi fa questi scherzi e.....il sesso!!! Parliamo invece di cucina Calabrese, quella di mare. La ricetta che voglio descrivervi con dovizia oggi è: Pasta con le cozze; visto che si parlava di vulve.....huum.. valve, cioè no, di tutt' e due.


Ingredienti per quattro persone

400 gr. di pasta , spaghetti o linguine.
1 kg. di cozze.
2 spicchi d'aglio.
250 gr. di pomodori maturi.
1 mazzetto di prezzemolo.
olio extravergine d'oliva.
sale e pepe q.b.

Procedimento:


Prima bisogna raschiare e pulire come al solito bene le cozze. Poi si sciacquano e le si fanno dischiudere in un tegame coperto , a fuoco vivo. Si recuperano i molluschi eliminando quelli che non si aprono; si sgusciano e mettendo da parte i più grandi per guarnire il piatto. Si filtra quindi il liquido di cottura emesso. Intanto in una padella a parte, si fa imbiondire due spicchi d'aglio in cinque cucchiai d'olio. Una volta imbiondito, lo si elimina e si aggiugono i pomodori a pezzetti a cui si saranno levati i semi. Si aggiunge quindi una presa di sale, un pò di pepe, e un mestolino del liquido di cottura delle cozze filtrato. Si lascia cucinare per una decina di minuti a fuoco medio, si aggiungono quindi i molluschi e si fa insaporire il tutto. Nel frattempo si cuoce in abbondante acqua bollente salata la pasta, la si scola al dente e la si fa insaporire nel condimento ottenuto. Poco prima di spegnere, si aggiunge una manciata di prezzemolo tritato.




Scalea è un comune di 10.040 abitanti della provincia di Cosenza.Diamante, perla del tirreno, è un comune di 5.091 abitanti in provincia di Cosenza sulla costa nord occidentale della Calabria. Posta al centro della riviera dei cedri Diamante è conosciuta come la città dei murales, dai numerosi dipinti che si possono ammirare passeggiando per i vicoli della cittadina.

http://www.scalea.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Riviera_dei_cedri

Il primo nome della Calabria sarebbe stato "Aschenazia", dal suo primo leggendario abitatore Aschenez, ritenuto pronipote di Noè. Egli sarebbe approdato sulla costa dove oggi sorge Reggio Calabria che, a memoria della leggenda, ha intitolato a lui una strada, via Aschenez appunto. Secondo il mito greco, circa 850 anni prima della guerra di Troia, vi sarebbero giunti Enotrio e Paucezio, di stirpe enotria e pelasgica, originari della Siria che, trovando il suolo molto fertile, chiamarono la regione "Ausonia" in ricordo dell'"Ausonide", fertile zona della Siria.

Buon appetito

Italo Surìs

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