venerdì 13 luglio 2007

La perla d'oriente III^



13 luglio 2007


l'harem 3°

Su altri tavolini comparivano vassoi colmi di ogni ben di Dio, in special modo frutta, banane e datteri giganteschi. Ma anche carne di montone, cotta sul fuoco e amalgamata al cuscus e a cipolle. Ma c’erano anche formaggi di capra, oltre ovviamente a cialde gigantesche e sottili di pane arabo. La carne di agnello o montone, sgozzato per la bisogna, veniva arrostita fuori dalle tende, dai nomadi arabi, usando per alimentare il fuoco, in mancanza di legna, gli escrementi secchi degli animali del deserto. Quelli di dromedari, cammelli, asini e montoni, ma anche lo sterco reso dai cocenti raggi del sole comburente di fiamma, dei magnifici piccoli e velocissimi cavalli arabi. Animali dal pelo lucido, dai garretti robusti e dagli zoccoli larghi, che servivano a far sì che gli stessi corressero al galoppo e a briglie sciolte, nella cocente e finissima sabbia del Sahara occidentale. Si, so come si cucina il pane , come lo cucinano le tribù berbere, almeno in Tunisia, dove andai quasi trent’anni fa in viaggio di nozze. Fu un’avventura che poi vi racconterò, un viaggio affascinante e molto movimentato. Pane arabo, dicevo, simile al nostro azzimo, cotto nei forni di creta di forma rotondeggiante e dal cui foro centrale fuoriusciva il fumo acre, derivante anch’esso dalla combustione di sterpi e di paglia mista allo sterco di capre e montoni, unici animali che potessero sopravvivere al pari dei cammelli, nelle oasi in pieno deserto. Questi erano i doni fatti giornalmente dal popolo berbero e arabo al loro sovrano. Monarca assoluto con diritto di vita e di morte su ognuno di loro. La luce che la figura di quella bellissima donna emanava dal corpo e dal viso, sebbene celati allo sguardo dal velo, era più luminosa ancora, di quella del prezioso che adornava il suo collo. Alone abbagliante che scosse il giovane sovrano dal suo torpore profondo, ebbrezza dovuta al fumo di sostanze oppiacee, che aveva aspirato dalla lunga canna del narghilè poggiato al suo fianco. Scostò lo strumento da fumo, sollevò la mano destra a mezz’aria, e con l’indice, inanellato anch’esso come l’anulare ed il mignolo di entrambe le mani, fece cenno al grosso e sudato eunuco di farla avvicinare. Aisha, questo il suo nome, fece timidamente alcuni passi in avanti. Era timorosa e spaventata, non conosceva quell’uomo se non per la sua triste fama di guerriero crudele e il conseguente terrore che incuteva in battaglia, sia fra i nemici che fra gli stessi suoi uomini che pretendeva ubbidienti e spavaldi, impavidi e fedeli. Sì la sua fama aveva attraversato i confini del suo emirato e si era sparsa oltre il suo regno. Era conosciuto in tutti i territori arabi come un uomo coraggioso. Generoso con i suoi uomini fidati e fedeli, ma altrettanto implacabile con i suoi più acerrimi nemici ai quali riservava una morte violenta e di breve agonia. Trattamento di cui non godevano i traditori ai quali, se scoperti e ritenuti colpevoli, dopo un sommario giudizio, venivano riservati interminabili e strazianti torture. Supplizi che solo una mente contorta e perversa come quella di Abdullah, instancabile torturatore e boia che dipendeva unicamente dal sultanato, poteva immaginare .




alla prossima puntata




Italo Surìs

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