lunedì 25 giugno 2007

Vecchio ardore VIII^







26 giugno 2006





L’amore non ha età 8°


Una ricerca che porta alla tomba. Dove appunto finì quella cara e sfortunata ragazza, figlia di un padre ignobile, che anch’io ho amato e venerato, ma che mai, conoscendone la fragilità emotiva e la situazione familiare, ho posseduto. Per rispetto, per amore, per non ferirla con il fievole alito di inutili ed ipocrite parole d’amore. Era bella, anzi bellissima Anita nella sua fragilità, come può essere bella una libellula. I suoi occhi sul viso magro e smunto sembravano ancora più grandi, più dolci, immensi, come bella e carnosa mi pareva la sua bocca dai lineamenti perfetti. Ricordo i suoi capelli castani, li sento ancora adesso sotto le mie dita, sottili come la seta, lucidi come un filo d’oro o d’argento. Il nostro era un amore inconsueto, strano, un rapporto che già sapevo non sarebbe mai durato, in un contesto di una famiglia così disastrata. Amava suo padre, lo amava tanto quell’uomo e soffriva. Aveva un orco malvagio come padre, che ha impedito persino che sposasse tenendo con sé, il ragazzo con cui ha concepito un figlio. Ciao mia dolce e fragile farfalla, non rivedrò più i tuoi bellissimi occhi scuri, né il tuo candido sorriso. Non bacerò più le tue dolci labbra, non ti accarezzerò i capelli ed il magrissimo corpo, nell’intimità dello spazio ristretto dell’ascensore bloccato volontariamente fra due piani. Ciao amore mio, farfalla dalle ali spezzate, che giaci nella fredda terra la quale ha permesso al tuo corpo di riposare, allora e per sempre. Povera ragazza, le è stato tolto tutto, fin dalla primissima infanzia, oppure no!,non l’è stato tolto, ciò che mai è stato dato, l’affetto la sicurezza, la comprensione, un aiuto fraterno un fidanzato fedele, un marito e un figlio. L’anoressia, malattia della mente micidiale e mortale che non lascia scampo se non nella tomba. Già una farfalla che non ha mai avuto il suo fiore, che ha continuato a volare girovagando disperata alla sua ricerca, nei verdeggianti prati, poggiandosi su ogni frutto che fosse pronto o disposto a donare. Un frutto che sempre e caparbiamente si è richiuso, demolendo in lei ogni speranza, sgretolando la fiducia verso il mondo intero, verso l’uomo, verso sé stessa. Fragile farfalla dalle ali spezzate o bruciate fra le fiamme di una vita bastarda, nata, cresciuta, vissuta, fino alla morte con la fame, fame di un briciolo d’affetto. Un sistema di vivere contorto, strano, cercando nella continua illusione mentale, un appagamento, attraverso il meccanismo creatosi. L’illusione di piacere solo se magra, d’essere amata solo se bella, solo se fragile, come voleva quell’orco, un mangiatore di piccole e fragili creature. Forse è questa la chiave di lettura del mio dramma, fame, sazietà; vuoto, pieno; freddo, caldo. Falena è il mio nome. Ecco, sì questo è il mio nome, il mio vero e definitivo nome, Edipo il mio cognome, forse come quello di Casanova, amante insaziabile,e sempre alla ricerca di un nuovo amore, una nuova illusione, un nuovo tormento.




alla prossima puntata





Italo Surìs
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