mercoledì 13 giugno 2007

la svizzera nel piatto II^




13 giugno 2007

Gusto di vivere, gusto di baciare, gusto di vedere, gusto di morire nella natura fattasi proprio in quell’attimo donna ed incarnatasi in una bellissima cameriera bionda. Parlavo bene l’inglese allora e riuscimmo subito a capirci. Ero distratto mentre con voce dolce e soave, mi leggeva il menù nel suo inglese con l’accento leggermente gutturale, come se fosse accompagnato da inflessioni della lingua ladina, il tedesco appunto , lingua questa che si parlava in quel cantone. Pensavo ad altro mentre elencava cibi tedeschi svizzeri o di derivazione prussiana. Pensavo e guardavo le sue gambe, leggermente velate da una finissima calza di seta , gambe perfette rese ancora più dritte dalla riga più scura, che, partendo dalla caviglia, proseguiva al centro del polpaccio, fino a sparire definitivamente sotto la corta gonna nera della sua divisa. Ho immaginato di trasformarmi in collant, in riga , d’inserirmi anch’io sotto la sua gonna, per salire più su, ancora più su per arrampicarmi da provetto alpinista, sulla mia montagna preferita, in questo caso svizzera e quindi molto più grande, molto più bella. Una montagna ricoperta da candida e soffice neve , da raccogliere con delicatezza per non farla sciogliere, per poterla serbare e accarezzare più a lungo possibile. Si è qui la mia montagna, si cela quasi con pudore sotto le vesti di una giovane cameriera bionda, dal sorriso sgargiante dalle labbra desiderabili e pulite. “ Do you want water or wine please?, Do you like beer?.” Che fossero queste o altre le domande a me rivolte, non aveva importanza alcuna, era solo importante l’effetto che la sua presenza provocava in me. La sua camicetta era perfettamente abbottonata. Era chiusa da dei bottoncini in madreperla e il suo colore era ovviamente bianco vista la gonna nera ed il grembiulino rotondeggiante e bordato da una passamaneria in cotone, dello stesso colore. Bianco , bel colore ho pensato, il colore degli abiti da sposa, il colore della purezza, della verginità. Già della verginità che in alcuni paesi è obbligo dimostrare appunto ai parenti tutti e al resto del villaggio, esponendo ben in vista il lenzuolo su cui è stata consumata la prima notte d’amore. Il giorno in cui è stata divelta la porta del piacere e come angeli assunti in cielo si è volati dritti nel paradiso. Ecco il mio paradiso, è lì a due passi da me , parla in inglese, ma è a mia disposizione, basterebbe forse che allungassi una mano, che la toccassi, oppure no, che le scrivessi un biglietto in inglese , un invito per stasera, in un altro locale, su un’altra sponda del lago, in un’altra atmosfera, più romantica, più intima. Mentre pensavo a ciò, il mio sguardo proseguiva l’esplorazione del suo corpo, i miei occhi scrutavano il suo seno che si muoveva sotto la sottile camicetta, che ripeto era chiusa completamente, e appunto per questo motivo, sembrava non ci fosse mai stata. Come se i suoi bellissimi seni fossero finalmente liberi di muoversi, privati da ogni costrizione creata dall’uomo. Belli quei seni a forma di pera dai capezzoli e dall’aureola enormi. Seni che sembravano quelli di una giovane ragazza, tanto erano piccoli. Scommetto che sarebbero stati nell’incavo del palmo di una mano.




alla prossima



Italo Surìs
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