martedì 19 giugno 2007

uno straccio di bandiera


19 giugno 2007

Ieri ho parlato del nuovo partito, quello per capirci che sta nascendo grazie alla sapiente regia della sig.ra Brambilla. Che ne facciano centomila di partiti, ormai in Italia, ogni famiglia di tre componenti, ne costituisce uno, anche se non regolarmente registrato in tribunale. Siamo tutti dei grandi poeti, navigatori, scrittori, politici, imprenditori, insegnanti, cuochi, camerieri. Ma vedo in giro pochi operai, muratori e netturbini, perché??, forse che questi nobili mestieri non danno lustro a sufficienza?. Abbiate pazienza, basta attendere, chissà che la moda non cambi e non convenga identificarsi in costoro.! Il nocciolo però del presente discorso non è tanto questo,né la politica di Berlusconi o di Prodi, quanto qualcosa a cui ci tengo molto di più. Al simbolo dell’unità d’Italia, qualcosa di cui vale la pena veramente parlare, su cui pregherei di spendere questa volta sì, fiumi di parole, rese più convincenti da rappresentazioni emotive inequivocabili, da rabbia, gioia, felicità, dolore, pianto, commozione. Parlo per chi non lo avesse capito della nostra bandiera, sì la nostra cara bandiera, che io come italiano e per giunta nazionalista, non voglio in nessun modo che si svenda ad alcuno! Cosa intendo per questo?, intendo dire che il simbolo dell’unità d’Italia è inflazionato, la usano dappertutto, persino per far pubblicità alle pizze. Basta dico io basta, lasciatela in pace la nostra bandiera, non abbinatela a prodotti anche scadenti, non utilizzatela a scopi politici, usandola come stendardo o marchio che può anche divenire marchio d’infamia in taluni casi. Cosa ha fatto di male il drappo di cui dovremmo essere orgogliosi?, perché speculare sui suoi tre bellissimi colori?, il rosso del sangue, il bianco del candore ed il verde della speranza o della natura? Non sono questi i significati dati agli stessi quando è nata, ma non dovrebbe interessare più di tanto in questo momento. E’ più interessante sapere che tutti ci speculano sopra, per fare i propri interessi, per ingannare, per attirare consensi. E' vero l’ho fatto anch’io, ma quello che è importante è sapere: chi lo fa, ci crede sul serio?, ha nel cuore l’unità d’Italia?, ama veramente questo pezzo di ruvida stoffa colorata che, da quando è stato cucito furtivamente dalle mani pazienti di nobili donne, di notte, nel segreto delle cantine e alla luce fievole delle candele, ha attraversato momenti storici di epica intensità ed importanza per il nostro paese? Qui sì, suona bene la frase del nostro caro Generale di Finanza: la nostra bandiera non si vende per un piatto di lenticchie. Ma per nient’altro, aggiungo io, che siano dollari, o petrodollari, rubli, marchi, Dinari, Peseta o pastasciutta o hamburger; per niente e a nessuno. Sono nati gadget con i tre colori, bandierine di carta per bambini, loghi di partiti. I colori della stessa li usano perfino i tifosi, per tingersi i capelli o il volto. Quante bandiere ho visto esposte sui balconi delle case, tricolori stanchi, confusi, che non capivano il motivo della loro esposizione. Appartenenza di chi ne faceva sfoggio così platealmente ad un partito?, ad un club, ad una squadra di calcio?, o più semplicemente una forma di egocentrismo esasperato? E’ come se costoro volessero gridare al mondo:” io sono un italiano, un vero italiano e ne sono fiero” Sono felice di ciò, è quello che desidero, che intensamente voglio, che grido continuamente ai quattro venti, instancabilmente: “Italia, Italia,Italia!!”. Quello che stride è il fatto che pensino d’essere gli unici o perlomeno i pochi oppure i soli a capire com’è la vita , chi ha ragione e chi no. Quello che mi urta è la convinzione che per essere italiani lo si debba gridare ai quattro venti, che chi non esponga bandiera alcuna, non lo sia , che chi l’Italia ce l’ha nel cuore e si tenga i colori della sua bandiera protetti nelle profondità delle cavità del torace, non ami la sua terra. Presunzione, ecco quello che definisco un atteggiamento simile. Non voglio ancora sembrare una persona schierata politicamente a destra o sinistra, ma desidero fare un'analisi più approfondita sulle simbologie della sceneggiatura, delle impostazioni grafiche e sulla coreografia, adottate dai collaboratori della dott.sa Brambilla, nell’impostazione del nuovo palinsesto e del partito, oltre che dell’associazione da essa rappresentata. La parete nello studio è costituita da uno sfondo celeste che rappresenta il cielo, sulla destra si erge la statua della libertà, mentre un nastro tricolore volteggia proprio come nella pubblicità della carta igienica, al centro, verso la statua stessa. Ora che la nostra bandiera sia abbinata ad una statua americana, non lo capisco proprio, sembra quasi che si voglia dire che solo l’America è un paese libero, mentre l’Olanda e la Svezia o la Norvegia e la Spagna, NO!. Il pensiero poi che la nostra bandiera la si possa anche per sbaglio associare ad un rotolo di a carta igienica per uso personale della statua stessa, mi fa inorridire. Ripeto: non dobbiamo né leccare né pulire il culo ad alcuno. E’ evidente a parer mio l’intento di abbinare diverse simbologie, in modo da creare nello spettatore più influenzabile, un assioma ben preciso: L’Italia come l' America, solo così sarà libera. Ma libera da che cosa, da chi?, chi ci occupa, non capisco. L’Italia diverrà libera solo se resterà sè stessa, libera Italia e null’altro, libera di decidere le proprie strategie politiche ed economiche, di fare accordi con chicchessia , sempre nel contesto di una politica Europea e Nato, sempre rispettando le convenzioni ONU, i patti fatti con i partner degli otto paesi più industrializzati. Lo stesso risultato lo si otterrebbe anche se nella scenografia venisse inserita, non so, la statua di Costantino o di Giulio Cesare o di qualunque altro che abbia reso unito un paese. E chi più di Leonardo o Dante o Petrarca può identificare meglio la vera indipendenza, quella del pensiero?Oppure, ancora meglio, il volto di Gesù e la croce che sono poi i simboli di sofferenza ma anche di una scelta ponderata e cosciente di libertà dal peccato e dalle cose terrene. Lasciamo la nostra bandiera là dove dovrebbe restare, che sventoli fiera sui pennoni delle nostre caserme, sulle aste degli edifici pubblici o riposta nei sacrari o ripiegata sulle bare dei caduti di tutte le guerre, non per ultima quella recente, in Iraq. E’ troppo pesante la nostra bandiera per svolazzare (free), libera all’altezza di un pur nobile deretano straniero. O doversi assoggettare o abbinare a qualsiasi altro simbolo che possa oscurare, anche parzialmente, il suo splendore. Il suo peso non è solo dovuto alla stoffa con cui è stata agli inizi confezionata. Stoffa grezza di cotone, ma soprattutto dal sangue di cui è impregnata, il sangue degli eroi che per la patria hanno dato la vita: Pietro Micca, Enrico Toti, Nazario Sauro, Cesare Battisti e tutti gli alpini ed i fanti e i marinai e i genieri e gli aviatori. Ecco è questo il peso che non permette che la nostra bandiera svolazzi, come una farfalla, o che possa essere appesa ad un chiodo, come un tappeto o un drappo, o che sventoli sui balconi di casa, come un paio di mutande. E’ troppo pesante, ha visto troppo sangue, sangue che è rimasto in essa rappreso, assieme al fango, nelle trincee, della prima guerra mondiale. Quelle sul Piave, sul carso, sull’altipiano d’Asiago. La stoffa delle bandiere è ancora intrisa del sangue degli alpini della Julia o della Tridentina che ruppero l’assedio di Nikolajewka, è ancora fradicia di neve e di ghiaccio, sporca di fango, quello rimasto sui corpi degli infoibati. E’ sporca la nostra bandiera, sporca della polvere dei deserti, insozzata dai liquami e dalle lacrime di morte dei nostri soldati in attesa, nei tunnel, nei fossi, nelle trincee, del deserto del nord africa, dell'uragano di fuoco nemico. Insudiciata dalla polvere sollevata dai tanks avversari a cui si opponeva la forza della disperazione dei nostri fanti. Ma anche annerita dal gas di scarico e dall'olio dei motori dei nostri miserabili mezzi di latta, che si lanciavano stoicamente e coscientemente verso la distruzione da parte di forze preponderanti, allo scopo di rompere l’assedio. La Divisione Folgore la conosce bene la nostra bandiera, come pure la Divisione’Ariete, come tutti i fanti ed i bersaglieri che si sono gettati sotto i cingoli dei carriarmati nemici armati di coraggio e di rassegnazione. Due le immagini che avevano nei loro occhi in quei drammatici istanti: la loro bandiera e la mamma! Lasciatela là dov’è, il simbolo d’ITALIA, non contendetevela, strappandola di mano l’un l’altro, è già fin troppo lacera, consunta, rattoppata, strappi dovuti alla presa di veri soldati che sul monte sabotino o altrove, hanno riconquistato con le unghie e con i denti la bandiera più volte finita nelle mani del nemico. Non ho voluto in questo post, come altre volte, inserire l'immagine della stessa, per coerenza, per rispetto di coloro che l'hanno stretta al petto in punta di morte.

Italo Surìs

Nikolajevka Stemma della Julia


Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla guerra contro la Grecia dove però a distinguersi maggiormente fu la Julia. Inquadrata nel Corpo d'Armata Alpino dell'Armata Italiana in Russia, viene coinvolta nella rotta delle forze dell'Asse durante l'inverno 42-43.
I pochi elementi ancora in possesso di un'arma e in grado di combattere vennero essenzialmente dalla Tridentina che dopo una lunghissima ritirata effettuata in
condizioni proibitive sfondarono l'accerchiamento sovietico presso il villaggio di Nikolajewka.
Questa fu una delle pochissime pagine di eroismo delle armi italiane ottenuta più con la forza di volontà che con l'organizzazione e i mezzi (entrambe largamente deficitari).
La vittoria di Nikolaiewka consentì a una parte dell'ARMIR e delle forze dell'Asse intrappolati nella sacca di sfuggire all'accerchiamento sovietico.
La divisione, praticamente distrutta, si dissolse come l'intero esercito italiano nel settembre 1943 mentre era in ancora fase di ricostituzione


El Alamein (in arabo العلمين, al-‘Alamayn, letteralmente "due bandiere") è una Egitto sul mar Mediterraneo, 106 Km a ovest di Alessandria d'Egitto e 240 Km a nord de Il Cairo.
Il suo nome è legato alle vicende della seconda guerra mondiale. Infatti a El Alamein furono combattute tre importanti battaglie tra l'asse italo-tedesco e gli Alleati:
Prima battaglia di El Alamein; 1-27 luglio 1942
Battaglia di Alam Halfa; 31 agosto - 5 settembre 1942
Seconda battaglia di El Alamein; 23 ottobre-3 novembre 1942
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Divisione Folgore


Nel 1941 era operativa una Divisione Paracadutisti completa, nata ed addestrata per l'occupazione di Malta (Operazione Herkules), che però visto l'andamento della guerra in Africa sarà invece impegnata a terra in Africa Settentrionale dal luglio 1942. Il comportamento eroico della divisione Folgore durante la battaglia di El Alamein, dove resistette all'attacco portato da ben sei divisioni inglesi, due corazzate e quattro di fanteria, suscitò il rispetto e l'ammirazione anche da parte dei nemici inglesi.
L'11 novembre del 1942 infatti, a battaglia ormai conclusa Radio Londra trasmise il famoso comunicato:

«I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane.»

(Radio Londra)
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