sabato 23 giugno 2007

Due righe alle nuvole XIII^


23 giugno 2007

Lettera ad un bambino mai nato. Capitolo 13


Non lo era nemmeno San Francesco che parlava con gli uccelli, con gli animali , con le piante, persino con i lupi. Già mi pare d’aver letto che dicesse: “fratello lupo”, “sorella luna”, “sorella acqua”, guardandosi attorno nel verdeggiante panorama nei dintorni d’ Assisi. Aveva abbandonato le cose terrene per la natura per il creato. Dormiva in un giaciglio di pietra, sì sulla nuda pietra, della cui durezza, ne faceva impegno indispensabile per la purificazione del corpo intossicato dagli eccessi di una vita dissoluta durante la giovinezza. Gli stessi miei eccessi, consistenti nella ricerca spasmodica della felicità attraverso la carne, per mezzo del calore, ma anche del dolore. Il dolore fisico che un rapporto carnale provoca e si accompagna al sentimento d’amore. Voglio sentire il mio corpo fremere, irrigidirsi, inarcarsi, per poi sgonfiarsi completamente come un sacco svuotato del suo contenuto. Non si gode senza provar dolore, amare in fondo è anche morire, abbandonarsi completamente all’altro, aver fiducia nel partner, chiudere gli occhi e desiderare di morire dentro! Morire sì, ma con sofferenza la sofferenza e il dolore-piacere che deriva dai sussulti incessanti ed inarrestabili di tutto il corpo e che terminano solo con il dono totale di ciò che la natura ha serbato per ogni donna; il seme abbondante creato appositamente per essere donato, desiderato, voluto. Voglio sentire tutta l'energia accumulata nel mio corpo rompere gli argini della decenza. Provare a cavalcare quell’onda inarrestabile di elettroni che attraversa corpo e mente come una vera scarica elettrica, anzi di più, molto più potente e prolungata, incessante, magnifica esilarante. Proprio come quella di una saetta, di un fulmine preceduto dal tuono. Un urlo di liberazione lacerante, che fuoriesce partendo, non dalla gola o dal petto o dallo stomaco, ma dal cuore, dalla mente, un urlo che per essere trattenuto ha bisogno che si stringano dolorosamente le mascelle, che si inserisca un bavaglio di stoffa fra i denti, soffocando purtroppo oltre che il respiro, anche una parte dell’amore stesso, quella liberatoria. Che invece dovrebbe essere gridata, urlata al mondo intero, ai quattro venti, da tutti, contemporaneamente, in un meccanismo di liberazione totale, di svuotamento dell’anima, di ringraziamento al creato. “Oh, Dio, oh Dio,Dioo, Diooo, sì, sììì, sììììììì, Dioooo,....Un fulmine che partendo dal cervello, coinvolge tutto il mio essere, attraversando tutti i miei muscoli, completamente. Desidero sentire il dolore che si prova per l’irrigidimento totale della mia massa muscolare, dei tricipiti, dei polpacci , dei muscoli pettorali e di quelli in addominali. Ho bisogno di sentirmi svuotato completamente, fra le braccia di ognuna delle donne a cui penso in questo momento, versando in esse, con un ultimo colpo di reni, fino all’ultima goccia, di sangue. Come vorrei qui adesso, che questo bosco così silenzioso, fosse interrotto da grida di vero piacere, da urla di godimento che si espandano, rimbalzando fra i monti, in tutta la valle. Affinché tutti sappiano, tutti immaginino, tutti sentano come la natura è generosa con me!.


Al prossimo capitolo

Ciao
Italo Surìs
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